Fondazione Marisa Bellisario

EMERGENZA POVERTÀ E DISUGUAGLIANZA

di Anna Rita Germani*

Secondo le stime preliminari sulla povertà da poco pubblicate da Istat, le famiglie in povertà assoluta sono passate dall’8,3% del 2022 all’8,5% del 2023, corrispondenti a oltre 2,23 milioni di famiglie e ben 5,7 milioni di persone. Un aumento dello 0,2% può sembrare un leggero incremento, ma in realtà è una vera e propria emergenza socio-economica che sta diventando strutturale. Basta leggere la serie storica dei dati Istat per vedere chiaramente che nel 2014 le famiglie in povertà assoluta erano il 6,2%; nel 2017 sono passate al 7,2%; nel 2019, in concomitanza con l’introduzione del reddito di cittadinanza, la percentuale di incidenza è scesa al 6,7%; ma nel 2022 l’incidenza è tornata ad aumentare per raggiungere, nel 2023, il picco più alto dell’ultimo decennio in larga misura a causa della forte accelerazione dell’inflazione che sta colpendo in particolar modo le famiglie meno abbienti.

Non a caso si definiscono working poors tutti coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito, dell’incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale del livello retributivo e dell’incapacità di risparmio. L’aumento della povertà è un segnale preoccupante che delinea un paese sempre più ingiusto socialmente dove le disuguaglianze economiche continuano a crescere.

Dove prospera la disuguaglianza persiste la povertà e per affrontare queste sfide congiunte sono necessarie proposte politiche audaci. Le prossime elezioni europee giocheranno senza dubbio un ruolo cruciale nella definizione del futuro approccio dell’Unione Europea su questi fronti. Un recente sondaggio Ipsos  condotto in 18 stati membri dell’UE ha indagato gli orientamenti di voto per le prossime elezioni europee 2024 facendo emergere una serie di temi che preoccupano di più i cittadini europei e che saranno al centro del dibattito politico nei prossimi mesi.

Nonostante il dato sconfortante per l’Italia che vede il 52,5% degli italiani più propenso a non votare, emerge la richiesta di un’Europa più orientata alle politiche sociali. Più che della questione climatica e della guerra in Ucraina, l’inflazione e la lotta alle disuguaglianze sono tra le principali fonti di preoccupazione. Per quanto riguarda la questione climatica, se da un lato i cittadini europei manifestano chiaramente la necessità di azioni concrete per limitare i danni dei sempre più frequenti e disastrosi eventi climatici, dall’altro emergono non poche perplessità circa l’operato dell’Unione Europea in difesa dell’ambiente. I cittadini europei vogliono poi che l’Unione Europea abbia, in generale, un ruolo più forte negli affari internazionali ma l’obiettivo non è considerato una priorità assoluta; secondo oltre il 70% degli europei è importante, nello specifico, che l’UE continui a fornire assistenza all’Ucraina, ma solo la metà degli intervistati la considera una priorità.

Sono gli aumenti dei prezzi e del costo della vita le principali fonti di preoccupazione. Il 68% dei cittadini dell’UE percepisce un senso di impoverimento generale dovuto all’aumento costante dell’inflazione e chiede soluzioni adeguate a contrastare questo trend. La seconda maggiore fonte di preoccupazione è rappresentata da problemi sociali: il 64% dei cittadini europei chiede soluzioni per ridurre le disuguaglianze e per migliorare i sistemi sanitari e pensionistici.

Che quadro emerge? Un’Europa divisa, in cui dilaga un forte senso di malessere collettivo, che chiede la necessità di un cambiamento profondo. Si dovrebbe ripartire dall’affrontare il problema della stagnazione dei redditi da lavoro – che in Italia hanno cessato di aumentare di pari passo con la produttività – e della eccessiva flessibilizzazione dei contratti di lavoro, per arrivare al ripensamento non solo delle politiche di accesso (oggi così disuguale) all’istruzione, ma anche delle politiche sociali per la famiglia. Tutti pilastri sui quali è necessario investire affinché si possa attivare crescita economica producendo effetti moltiplicativi di reddito e di occupazione. Forse una direttiva sul reddito minimo potrebbe essere un primo passo che potrebbe fare la differenza non solo in termini di equità sociale ma anche in termini di ricchezza economica.

*Professoressa Sapienza Università di Roma

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