di Luciana d’Ambrosio Marri*
Valore del noi e dell’io che è incluso nel noi ma non sparisce nel noi perché, quando ciò accade, o si ha timore che accada, allora il noi spaventa o viene snobbato perché l’io non può essere annullato dal noi. Se parliamo del valore della unicità, in ottica di Diversity & Inclusion, non possiamo dimenticare che anche l’io ha esigenze di riconoscimento quando contribuisce al valore e al prodotto del noi. La qualità del prodotto collettivo è frutto del gioco dei contributi individuali che diventano sinergia consapevole e guidata da un’azione di leadership positiva. La leadership sana, come quella tossica, non è di per sé una questione di genere, ma… c’è un ma. Che vedremo tra poco.
La concretezza dietro queste considerazioni è subito evidente dai risultati d’impresa che derivano dai quei contesti dove il benessere organizzativo è un driver dello sviluppo, un consapevole obiettivo e strumento di direzione che si traduce in numeri che esprimono la sanità dell’impresa stessa.
Il profitto da solo non può più essere dio o idolo della nostra società sempre più complessa, con problemi di pianeta (dalle migrazioni al clima, dalla iniqua distribuzione della ricchezza a scenari di guerra diffusa che ormai va ben oltre le cosiddette micro-guerre percepite lontane dai più fino a poco tempo fa) che possono essere affrontati con ottiche superficiali, banalmente semplicistiche e liquidatorie secondo chiavi di lettura bianco/nero, oppure con nuovi paia di occhiali che tengano conto delle sfumature, dei segnali deboli, di rinoceronti bianchi e di cigni neri, simboli di eventi molto probabili ma poco considerati e di eventi inaspettati con effetto sorpresa. Considerando soprattutto la cornice Vuca – Volatility, Uncertainty, Complexity & Ambiguity che caratterizza il contesto mondo e i fenomeni che lo animano.
In un mondo del lavoro che cambia freneticamente, che esprime un ventaglio sfaccettato di situazioni declinate da una parte secondo un futuro già tra noi con AI e ipotesi di settimana corta e dall’altra secondo logiche di gestione aziendale, ad esempio, quasi pre-novecentesche di cecità verso la sicurezza sul lavoro, molte sono le Organizzazioni che hanno messo a fuoco che motore interiore di motivazione al lavoro è la possibilità di migliore benessere della persona-al-lavoro. Vale per tutte le età, ancor di più per Millennials, Generazione Z e Generazione Alpha. Vale per donne e uomini. Questo diventa quindi anche il fulcro di politiche gestionali di molte imprese oggi sempre più sensibili a rivisitare la propria cultura aziendale ponendo al centro come fattore strategico il benessere organizzativo. E mettendo in atto azioni concrete per il miglioramento di esso. Su questo si innesta il tema della leadership delle donne. Vediamo perché.
Cambiare prospettiva, assumere più sguardi verso le questioni, sviluppare un nuovo repertorio cognitivo e comportamentale verso la soluzione dei problemi sono tratti che, secondo molte ricerche di management, sanno meglio assumere le donne che occupano ruoli apicali. In particolare, c’è sempre più bisogno di Novelty, la capacità di accogliere e gestire quel “qualcosa di nuovo e insolito, che non è mai stato sperimentato prima e quindi è interessante” (Cambridge Dictionary).
Inoltre, l’ottica e le politiche di Diversity & Inclusion, per quanto attrattive, trovano spesso resistenze più o meno latenti o dichiarate e quindi possono suscitare altre dimensioni di conflitto, nonostante il loro appeal “politicamente corretto”. Anche sulla capacità di gestione dei conflitti, possibili pure in contesti dove il benessere organizzativo alza l’asticella della qualità della vita delle persone che vi lavorano, le donne al vertice mostrano grandi capacità nella prevenzione e nella soluzione dei conflitti, tant’è che anche l’ONU fin dal 2000 ha riconosciuto il loro ruolo significativo nel consolidamento della pace.
A proposito di conflitti, emerge spesso che le donne hanno un ruolo stabilizzatore, che le risorse economiche date alle donne in ambienti post bellici si traducono in maggiore istruzione, che le donne hanno maggiore capacità di ricostruire equilibri relazionali e climi sociali di riconciliazione, di assumere una funzione concreta e pragmatica nella gestione delle risorse pubbliche della comunità, perché maggiormente orientate al benessere collettivo.
Se sconcerta vedere ancora oggi solo uomini in giacca e cravatta (o in divisa militare) ai tavoli dove si discute di guerra e/o ipotesi di pace, nel frattempo nel quotidiano della vita d’impresa nel mondo del lavoro italiano possiamo essere più pragmatiche e soprattutto possiamo gestire la leadership che molte di noi hanno nelle varie realtà per essere ancora più incisive, oltre che inclusive, rispetto alla traduzione del benessere organizzativo in prassi concrete. Queste non riguardano “solo” politiche di conciliazione e di work life balance – che tra l’altro molti, ancora dotati di parecchi pregiudizi, riducono a cose per donne – ma anche approcci che siano più coerenti con le nuove normalità e con i nuovi bisogni (ri)scoperti alla luce di priorità lavorative e esistenziali pure per persone che desiderano nuove opportunità di sviluppo e nuove forme di soddisfazione. La leadership delle donne serve anche per rivoluzionare il mondo del lavoro e renderlo più inclusivo e sostenibile. Dati alla mano, il business migliora. E pure la vita.
*Sociologa del lavoro, Senior Consultant in Formazione, Diversity & Inclusion Management, Sviluppo delle Persone e Benessere Organizzativo. www.lucianadambrosiomarri.it
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