Fondazione Marisa Bellisario

UNA VINCITRICE MA POCHE DONNE IN PARLAMENTO: IL NOSTRO APPELLO DISATTESO

Eccoci all’indomani del voto con due primati: la prima volta che il partito più votato è guidato da una donna e un risultato che incorona già Giorgia Meloni come prima donna Presidente del Consiglio.

I più politicamente corretti ma soprattutto intellettualmente onesti, tra politologi, analisti e giornalisti/e hanno ammesso che sì, Giorgia è stata brava. E non solo in campagna elettorale: ha costruito in questi anni una linea politica perfetta, fatta di coerenza e serietà, intercettando i bisogni dell’elettorato e dando loro risposte chiare, senza tentennamenti. Poi si può anche non essere d’accordo con molte delle sue posizioni ma che per la prima volta nella storia repubblicana una donna abbia costruito, da sola, un consenso tanto forte, è innegabile e pretende riconoscimento.

Così come l’atteggiamento mostrato all’indomani della vittoria: sobrio, moderato, equilibrato. Per qualche giorno, Giorgia Meloni è sparita dai radar, nessuna immagine di festeggiamenti, un solo messaggio a notte fonda, in jeans e citando San Francesco. E allora, se dobbiamo fare un primo – cauto, troppo poco tempo è passato – distinguo tra modelli di leadership, tra interpretazioni del potere, una differenza salta all’occhio tra la tracotanza dei vincitori uomini, tra la loro vanità esibita (e quanto ne abbiamo dovuta tollerare in questi lustri!!) e la sobrietà di questa prima donna al vertice. È, innegabilmente, un buon segno. Poi, certamente, dovremo aspettare e vedere. Senza pregiudizi.

Un’altra riflessione riprende poi il mio ragionamento di pochi giorni prima del voto. Perché questi risultati sono anche figli della dimenticanza delle donne da parte della politica, tutta. Il 41% delle donne ha scelto di astenersi, il 27% di votare un’altra donna. Significa che di fronte a partiti che non hanno avanzato proposte sulle questioni più urgenti – dall’occupazione alla conciliazione – e con partiti che fin qui hanno disatteso tutte le promesse elettorali, la maggior parte delle donne ha deciso di disertare le urne, le altre di portare al governo una di loro. Alla fine, l’esser donna ha giovato anche a Giorgia Meloni, in un modo o nell’altro.

Per il resto, c’è poco da star allegri: il nostro appello ai partiti è stato ampiamente disatteso, visti i numeri del prossimo Parlamento, che avrà meno rappresentanti donne rispetto a quello precedente, sia in termini assoluti, per via del taglio dei seggi, sia in percentuale. A meno di ultimi giri di valzer in base al metodo definito “flipper”, sono state elette solo 186 donne, su 600 seggi disponibili (contro 404 uomini, appena il 31% del totale. È la prima volta dal 2001 che questa percentuale diminuisce tra un’elezione e l’altra, dopo che nella passata legislatura si era raggiunta la cifra più alta mai registrata (35,3% con 334 donne su 945 seggi). E FdI, al netto della sua leader di peso, è anche il partito che ha eletto meno donne: 33 alla Camera e 17 al Senato, per un totale di 50 su 185 rappresentanti, appena il 27%. Al secondo posto della deludente classifica il Partito democratico che, con solo il 28,6%, ha attirato gli strali delle sue dirigenti, come sempre postumi…

Cosa è successo è semplice. In base a quanto stabilito dal cosiddetto Rosatellum, un singolo genere non può rappresentare più del 60% del totale delle candidature presentate da una coalizione o da una lista e nei collegi plurinominali a liste bloccate candidati e candidate devono alternarsi. Ad aggirare un meccanismo che potrebbe sembrare a prova di equità ci hanno pensato i partiti attraverso il meccanismo delle cosiddette pluricandidature, per cui un singolo candidato o candidata può competere in un massimo di cinque collegi plurinominali oltre che in un collegio uninominale. È bastato quindi distribuire le proprie candidate in più collegi plurinominali possibili, per rispettare il criterio dell’alternanza dei generi: candidando due sole donne come capolista in 10 collegi plurinominali e 10 uomini al secondo posto, un partito può fare eleggere solo 2 donne ma ben 8 uomini, pur rispettando l’alternanza di genere.

Ora, si può biasimare l’elettorato femminile? No ma per la prima volta i partiti hanno dovuto fare i conti con la delusione delle elettrici. Finora il peggio in cui erano incappati era l’astensione, che ormai, a torto, viene considerata fisiologica e non una malattia delle democrazia. Oggi, lo scontento delle donne ha trovato un altro sfogo: Giorgia Meloni. E anche solo per questo, forse bisognerebbe ringraziarla. Fosse la volta buona che i partiti comincino a considerare l’elettorato femminile come pensante e pesante

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6 commenti su “UNA VINCITRICE MA POCHE DONNE IN PARLAMENTO: IL NOSTRO APPELLO DISATTESO”

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