Fondazione Marisa Bellisario

UN’EDUCAZIONE IN GRADO DI LIBERARE IL TALENTO DELLE DONNE

di Anna Maria Bernini*

C’è una parola, un avverbio legato al racconto delle STEM e della parità di genere nel nostro Paese: solamente.

Ci sono solamente 10 rettrici donne (su 84 atenei), ci sono solo il 18,7% di studentesse laureate in materie scientifiche, oppure ancora solo il 25% di docenti ordinari è donna.

In Italia abbiamo la tendenza a concentrarci in modo quasi ossessivo sull’ostacolo che sbarra la strada, al punto da dare la percezione che sia qualcosa di insuperabile. Io preferisco di gran lunga tenere gli occhi fissi sulla meta.

Non voglio minimizzare il ritardo italiano nel raggiungimento della parità di genere, o eludere il fatto che il gender gap sia un tema centrale per il progresso del Paese. È evidente, ed innegabile, che la progressiva uscita di studentesse e ricercatrici dai percorsi di dottorato e dalle carriere accademiche è un fattore su cui agire. Accusare l’intero sistema di immobilismo credo significhi ideologizzare un fenomeno quando sarebbe più produttivo per tutti unire le forze. E alzare muri non ha mai aiutato nessuna battaglia.

Il racconto della parità di genere, dell’importanza delle materie scientifiche e del contributo femminile per la comunità penso abbia bisogno di segnali di speranza. Penso debba essere costruito sulle fondamenta gettate da chi ha preceduto le future scienziate.

Quando io mi sono iscritta all’università non c’era neanche una rettrice donna, le professoresse ordinarie di fisica, matematica o le ricercatrici impegnate in scoperte in ambito informatico si contavano sulle dita di una mano. In quegli stessi anni, però, iniziavano la loro carriera donne che hanno iniziato ad occuparsi, ad esempio, di Space Economy Evolution, e che sono diventate protagoniste nel campo della ricerca spaziale. Un fatto impensabile all’epoca.

Sono molti i muri che abbiamo contribuito a picconare in questi anni, ma certo rimane un lungo percorso da affrontare. Una strada che però è tracciata, è visibile e che deve essere illuminata e non ingombrata da calcinacci.

I dati ci dicono che in Italia, dal 2005 al 2020, è stato ridotto il valore del Glass Ceiling Index (GCI). Si tratta di un indicatore che misura la probabilità delle donne rispetto agli uomini di raggiungere la qualifica più elevata nella carriera accademica. Siamo passati da un indice di 1,84 a 1,52, ottenendo un valore leggermente inferiore alla media europea pari a 1,54. Il nostro obiettivo è raggiungere la perfetta parità portando quindi il GCI ad 1, ma non dobbiamo sottovalutare che questi risultati ci dicono che stiamo procedendo nella giusta direzione.

Un altro dato positivo riguarda i dottorati di ricerca. Sebbene siano ancora poche le studentesse che scelgono le “scienze dure” l’Italia ha registrato negli ultimi anni un miglioramento dei parametri, anche rispetto agli altri Paesi europei. Ad esempio le statistiche mostrano che la percentuale di donne che conseguono un dottorato di ricerca nelle nostre università è pari al 51%, contro il 48% della media UE. Inoltre abbiamo migliorato di 2 punti percentuali, arrivando al 43%, la percentuale di afferenza delle donne ai dottorati in ambito STEM. La quota di dottoresse di ricerca, in percentuale totale e nelle aree STEM, nel nostro Paese risulta superiore anche a quelle di alcuni Paesi europei come Regno Unito (rispettivamente, 48% e 40%), Francia (rispettivamente, 44% e 36%) e Germania (rispettivamente, 45% e 33%) (dati MUR-USTAT).

Si può obiettare che resta ancora elevato il divario tra maschi e femmine nelle iscrizioni ai corsi STEM? Certo, a fronte di un 39,2% di laureati Stem sul totale dei laureati le laureate sono meno della metà (18,7%). Ed è su questo che dobbiamo lavorare, è sulla creazione di maggiori opportunità, su un migliore orientamento e su una educazione che sia in grado di superare i bias cognitivi che zavorrano tanti talenti al femminile.

Il contributo del MUR si sta articolando in più azioni. Abbiamo legato i fondi PNRR ai bilanci di genere nelle università e stiamo monitorando l’applicazione della parità e l’aumento dei servizi per le donne (come ad esempio gli asili per il personale degli atenei); abbiamo aumentato le borse di ricerca per le donne; abbiamo posto il vincolo del 40% di borse destinate alle ricercatrici oltre ad aver dato alle studentesse STEM borse di studio del 20% più alte.

Tutte queste misure però risulteranno depotenziate se non ci concentreremo tutti nel tagliare alla radice ciò che ostacola il successo delle giovani: pregiudizi e bias cognitivi che la nostra cultura instilla fin da giovanissime.

Il potenziale di ciascuna donna è un percorso di crescita interiore prima ancora che professionale. Questo oggi per chi è chiamato a progettare il futuro significa trovare i supporti giusti che liberino le studentesse e che le portino a uscire dalla propria comfort zone, a porsi un obiettivo ambizioso, un grande sogno da tradurre in ciò che è necessario per loro stesse.

*Ministro dell’Università e della Ricerca

Iscriviti alla Newsletter

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scroll to Top