Intervista a Cristina Scocchia, Amministratore Delegato Kiko
L’Italia è il fanalino di coda per occupazione femminile…
Nel nostro Paese manca ancora una piena consapevolezza che escludere o minimizzare metà del talento disponibile non solo è sbagliato dal punto di vista etico ma anche economico: è uno spreco di risorse che non possiamo permetterci. Secondo la Banca d’Italia, un’occupazione femminile al 60% varrebbe addirittura 7 punti di PIL. Più di quanto ci aspettiamo dal PNRR.
Come far crescere l’occupazione femminile?
Bisogna lavorare su quattro fronti. Primo, agire a livello culturale perché spesso manca la limpida consapevolezza che sia gli uomini sia le donne hanno pari diritto di realizzarsi in ambito lavorativo. Secondo, favorire una più equa distribuzione dei carichi familiari: secondo l’Istat il 70-80% della cura di casa, figli e anziani ricade sulle donne, in concreto da 3 a 6 ore al giorno. Terzo, potenziare i servizi a supporto delle famiglie, dagli asili nido alle scuole elementari a tempo pieno. Infine, ma non meno importante, dobbiamo assicurarci che entrambi i generi abbiano uguale accesso alla formazione di quelle competenze scientifiche, tecnologiche e digitali che aumentano le possibilità di impiego e favoriscono carriere più qualificate e remunerate perché in linea con la transizione digitale e ambientale che viviamo. Oggi il divario digitale tra i generi è ancora troppo ampio ed è confermato dal fatto che solo 16 studentesse su 100 sono laureate in materie STEM, contro 37 uomini su 100.
È ancora così difficile per le donne ricoprire ruoli apicali?
Seneca diceva che la fortuna non esiste, esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità. Fino a prova contraria, il talento è equamente distribuito tra uomini e donne, le opportunità di dimostrarlo no. I dati lo testimoniano in modo chiarissimo: solo 1 dirigente su 3 è donna e questa percentuale scende a 1 su 6 se si guarda alle aziende private.
Perché sono state le donne a pagare il prezzo più alto della crisi?
Perché l’occupazione femminile si concentra nel terziario, il settore più colpito dalle restrizioni, e perché 1 donna su 3 ha un contratto a tempo determinato e come tale non protetto dal blocco dei licenziamenti. Ma anche il gap salariale di genere ha avuto il suo peso. La differenza a sfavore delle donne dipende da retaggi culturali ma anche dal fatto che ancora troppo poche scelgono percorsi formativi e quindi carriere scientifico-tecnologiche e ancora troppo poche occupano posizione di vertice.
Cosa possono fare le aziende per aiutare le lavoratrici?
Le aziende possono fare molto per aiutare donne e famiglie. Negli ultimi anni un numero crescente d’imprese ha messo a disposizione dei propri dipendenti servizi di sostegno alla genitorialità. Si va dalla flessibilità oraria in entrata e in uscita, al part-time, dallo smartworking agli asili nido aziendali, fino al sostegno economico per baby sitter e campus estivi. Ovviamente la quantità e qualità del welfare di un’impresa dipende molto sia dall’assetto valoriale del vertice sia dalla dimensione e solidità finanziaria dell’azienda.
Hai mai incontrato resistenze da parte di collaboratori uomini che non volevano un capo donna?
Sì, nel contesto italiano è ancora strano che una donna ricopra una posizione apicale. Nell’immaginario comune se sei una donna puoi fare il medico ma non il primario, il manager ma non l’Amministratore Delegato.
Conciliare famiglia e lavoro è difficile?
Sicuramente è difficile ma è possibile. Non esiste una ricetta valida per tutti, la mia è stata quella di capire che in ogni ruolo, sia in quello di manager sia di mamma, ci sono momenti che fanno la differenza, e in questi devi dare il 200%, ma ce ne sono anche altri che non sono cruciali e che devi imparare a delegare.
Sensi di colpa, ne soffri?
A noi donne vengono imposti modelli molto difficili da raggiungere. Ci dicono che per aver successo dobbiamo pensare come un uomo, comportarci come una signora, sembrare una ragazzina, lavorare come un mulo ed essere una moglie e mamma da Mulino Bianco. Con gli anni ho smesso di sentirmi in colpa e ho accettato le mie tante imperfezioni.
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Ai tempi di Seneca non c’ erano conoscenze scientifiche sulla genetica. Secondo la quale l intelligenza, i talenti ecc sono doni della natura e cioè si ereditano. Appunto, bisogna avere l fortuna di ereditarli. O lo sei intelligente o no, come pure o li hai o non li hai i talenti. Alla fine è sempre questione di FORTUNA
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