Fondazione Marisa Bellisario

PARITÀ: LUOGHI DI LAVORO COME LABORATORI DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE

di Giulia Bifano*

Che il cosiddetto gender gap nei luoghi di lavoro sia ancora oggi un problema di tale portata da spingere il legislatore nazionale e comunitario ad adottare provvedimenti sempre più stringenti e orientati alla trasparenza anche retributiva è cosa indubbia per quanto sconfortante. Ciò che continua a stupire ancor di più, però, è il fatto che all’alba del 2024 i luoghi di lavoro ancora siano pregni di rigurgiti di misoginia: lasciando parlare i dati (Istat), circa il 9% delle lavoratrici ha subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della propria carriera. Tra queste, oltre l’80% ha deciso di non parlarne con nessuno.

Poche sono le lavoratrici, anche in posizioni apicali, che possono vantare di non avere mai ricevuto commenti sul proprio aspetto fisico o sul loro genere. Si sprecano nei corridoi aziendali le battute sul fatto di essere particolarmente avvenenti, aggressive forse a causa del ciclo mestruale, incapaci di lavorare con le altre donne, concentrate sul lavoro solo perché senza un uomo.

Se questa è la cultura che ancora fa da leitmotiv, è evidentemente vana la speranza che le norme, per quanto dagli obiettivi giusti e ambiziosi, siano sufficienti affinché la parità di genere si spogli della sola veste di principio e diventi un fatto.

Si tratta di un indispensabile percorso, già iniziato ma ancora lungo, verso una rivoluzione culturale che ci emancipi dai tempi ancora troppo recenti in cui alle donne italiane non era neppure concesso votare, divorziare, donare beni senza consenso o fare professioni di particolare responsabilità come quella del giudice. Fino a non troppo tempo fa, vale la pena dirselo, alle donne era concesso unicamente di fare le donne, secondo una definizione che escludeva ogni forma di potere.

In questo faticoso viaggio verso la parità di genere, centrale è il ruolo e la responsabilità delle imprese.

Nel luogo di lavoro, dove siedono il potere e il denaro per secoli tenuti ben distanti dalle donne, si gioca la partita di una cultura che rigetti con fermezza le battute sessiste, i comportamenti misogini e quel modo bonario di trattare le donne come esseri graziosi al punto da rassomigliare ad oggetti.

Se quello tra il diritto e la società è un rapporto di scambio, in cui al mutare dell’uno si muove il cambiamento dell’altro, un supporto alle imprese virtuose arriva anche dalle aule di giustizia del lavoro.

Con una recente, ma affatto isolata, decisione del 14 dicembre scorso, la Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento per giusta causa inflitto ad un lavoratore con mansioni di “team leader” e responsabile di condotte indesiderate nei confronti delle colleghe del proprio team.

Nel motivare questa decisione, la Corte prende atto di come i comportamenti del dipendente licenziato si traducessero in “azioni moleste”, seppure non chiaramente contrassegnate da “prevalenti spunti psichici di ordine sessuale” e che il lavoratore aveva tentato di ricondurre all’alveo della sfera extra-lavorativa. Ciò, tuttavia, non vale certo a giustificare la condotta.

Peraltro, a nulla rileva la volontà del lavoratore di arrecare danno o offesa alle proprie colleghe, essendo unicamente rilevante il fatto che le battute indesiderate ben possono rientrare nella nozione di molestie sul lavoro, laddove la Convenzione OIL n. 190 (ratificata in Italia con L. n. 4/2021) si riferisce a un insieme di pratiche e comportamenti inaccettabili, che causino o possano causare un danno fisico, psicologico, sessuale ed economico.

Legittimo dunque il licenziamento intimato in simili casi dalla datrice di lavoro, sul presupposto che le condotte petulanti di un dipendente verso le colleghe denotano una condotta immune da limiti e disciplina, particolarmente grave per chi esprime il ruolo di team leader e in ogni caso meritevole di censura.

Questo provvedimento, insieme a molti altri, è spunto di riflessione per le imprese: la legge, è bene rammentarlo, conferisce proprio ai datori di lavoro l’obbligo di assicurare un ambiente sano e scevro da discriminazione e sessismo.

Anche alle imprese, dunque, l’onere e l’onore di azioni soft (policy, formazione, certificazione) e hard per la rivoluzione della parità.

*Avvocato

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