Fondazione Marisa Bellisario

NUOVE PROSPETTIVE PER LA SALUTE DELLE DONNE

di Francesco Vaia*

Sono passati dieci anni da quando Angelina Jolie dichiarò pubblicamente di essersi sottoposta a mastectomia bilaterale preventiva dopo aver scoperto di essere portatrice di una particolare mutazione nel gene BRCA1 (mutazione associata a un aumento del rischio di sviluppare cancro della mammella e delle ovaie, ndr). Una notizia che, se da un lato fece capire a tutti, anche ai non addetti ai lavori, quali enormi progressi erano stati fatti nella diagnosi genetica dei tumori, dall’altra fece intuire come molto rimaneva da fare in termini di possibilità preventive. Nonostante l’opportunità della profilassi chirurgica per donne portatrici di questa mutazione e i tanti progressi della chirurgia ricostruttiva, la mastectomia preventiva rappresenta infatti una scelta drastica che, seppur fatta a fini preventivi, per una donna non è semplice non vivere come una vera e propria mutilazione. Fortunatamente un’alterativa è disponibile per chi scopre di avere una mutazione del gene BRCA1: è quella dello screening mediante sorveglianza attiva, con l’esecuzione di specifici e mirati esami a cadenza regolare. Ma anche questa alternativa ha, per ora, un limite sul quale la scienza sta lavorando: si tratta di un intervento (in gergo definito di prevenzione secondaria) che permette di individuare precocemente la malattia e di garantire in questo modo approcci terapeutici più mirati ed efficaci ma non di prevenire l’insorgenza della stessa (come avviene invece per gli interventi di prevenzione primaria).

Il caso Angelina Jolie in realtà è soltanto la punta dell’iceberg di un problema molto più ampio che riguarda tutto il campo della diagnostica genetica e della medicina personalizzata: le grandi possibilità offerte dalla conoscenza genetica in termini di stima del rischio e di individuazione della predisposizione alle malattie spesso non si accompagnano, purtroppo, a possibilità preventive e terapeutiche altrettanto efficaci.

Il gene BRCA1 fu individuato negli anni ’90, anni di grande sforzo e fermento per la ricerca genetica. Penso al Progetto Genoma Umano, avviato nel 1990, che avrebbe poi reso disponibili informazioni fondamentali sulla nostra identità genetica e biologica.

Grazie a questi enormi sforzi è enormemente accresciuta la nostra conoscenza nel campo della diagnostica genetica e nell’associazione fra mutazioni e rischio di sviluppo di tumori nell’uomo e la Personalizzazione della medicina ha raggiunto risultati impensabili solo pochi anni fa. È ora che anche terapia e prevenzione camminino al passo della diagnostica.

A distanza di trent’anni è d’obbligo insomma cercare altre strade, oltre a quella di una non più tollerabile mutilazione preventiva, per migliorare la vita di queste pazienti e, più in generale, di tutti coloro che si scoprono portatori di una qualche mutazione genetica nociva per la salute. Anche per ridurre l’impatto psicologico che le nuove conoscenze genetiche tendono ad indurre, impatto che non deve essere sottovalutato se il nostro obiettivo è dare sempre maggiore attenzione alla persona.

Negli ultimi mesi si è parlato molto, anche a livello mediatico, dell’applicazione della tecnologia dell’RNA al campo oncologico.

E in effetti le possibilità di questa piattaforma sono enormi vista la sua facile adattabilità e la possibilità di indurre l’organismo a produrre qualsiasi proteina desiderata in base al tipo di tumore e al suo fenotipo genetico.

Attualmente le prospettive di utilizzo dell’mRNA sono mirate soprattutto sui vaccini terapeutici, ovvero su ‘farmaci’ capaci di innescare una risposta immunitaria diretta contro bersagli ben precisi di cellule tumorali già sviluppate e i risultati sembrano promettenti. Ma, come abbiamo imparato anche durante la pandemia, prevenire è meglio che curare e ora serve uno sforzo ulteriore per estendere anche alla prevenzione oncologica l’utilizzo di tecnologie innovative.

Si tratta di sfide complesse alle quali si può rispondere soltanto con un approccio sistemico. Sarà fondamentale unire e mettere in rete le competenze del mondo della Ricerca con quelle dell’Industria: una partnership indispensabile per tradurre i risultati dei grandi centri di ricerca del nostro Paese nello sviluppo di prodotti rapidamente fruibili dalla popolazione.

Ma anche la politica e le istituzioni dovranno fare la loro parte con direttive e interventi che mettano il Paese nelle condizioni di affrontare adeguatamente e rapidamente le sfide che il futuro della medicina ci pone in termini di prevenzione.

*Direttore generale Istituto Spallanzani Roma

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