Fondazione Marisa Bellisario

ESSERE CITTADINE: LA DIGNITÀ DELL’AUTONOMIA

di Laura Turati*

Assegno per la moglie a carico” è la vulgata con cui viene popolarmente definito l’assegno per il nucleo familiare: una definizione che da sé narra come abitualmente l’assegno venga corrisposto al marito anche se in realtà sarebbe destinato a chi si occupa della famiglia, di fatto per salvaguardare quel lavoro femminile non retribuito e ristorare chi rinuncia alla propria realizzazione personale per contribuire alla famiglia.

Come facciamo a far evolvere una cultura popolare in cui esiste ancora un sussidio simile?

Viviamo tempi di riforme coraggiose, di cambiamenti epocali, anche culturali, quindi è ora di rivedere con occhi nuovi il mondo che abbiamo ereditato.

Non necessariamente dobbiamo rivoluzionare: tante volte basta cambiare i termini per mettere nel giusto binario scelte giuste, ma da ricontestualizzare nell’attualità.

La parola crea e definisce la realtà, e allora cominciamo a chiamare “Assegno per il welfare familiare” quel contributo statale a chi si fa carico di contribuire alla società gestendo una famiglia, e poi, soprattutto, versiamolo alla donna, titolare del lavoro svolto, non al marito che gode del beneficio di una persona che lo solleva da quei compiti di condivisione della gestione familiare che delega alla compagna.

E poi, alle nuove coppie, cominciamo a dire che quel contributo è un sostegno che lo Stato darà fino al compimento di 10 anni dei figli accuditi, ma poi finisce, perché si è madri per sempre, ma essere madre non può esimere da essere cittadine ed elementi economicamente attivi nella società.

Domani, se non già oggi, non ci saranno più famiglie che potranno farsi interamente carico di madri anziane prive di un proprio sostentamento economico: l’equità di retribuzione nei generi passa anche dalla dignità di una vita remunerata ufficialmente che dia un degno sostentamento in vecchiaia.

E poi, se quell’assegno arriva direttamente alla donna, i compagni non avranno più scuse per impedire il lavoro legalmente retribuito delle loro compagne, costringendole, come spesso accade, all’elusione attraverso il lavoro in nero, con l’alibi egoistico che comporterebbe per loro stessi una riduzione dello stipendio, come se l’assegno per il nucleo familiare fosse una loro personale retribuzione!

Piuttosto, intestiamo alle donne quel benedetto assegno e alziamo il tetto del reddito annuo che possono sommarvi con qualche lavoro stagionale o part time senza che debbano rimetterci economicamente, in modo da riportare al mondo del lavoro quelle tante potenzialità uscite dal “mercato” con la nascita dei figli e che ora porterebbero alla società un valore immenso di capacità produttiva e di talento.

Quanto lavoro sommerso apparirebbe improvvisamente come “incremento dell’occupazione femminile” nei dati ISTAT!

Servirà un po’ di formazione? Non è un problema: seguendo i figli, le donne sono molto più aggiornate e disponibili al cambiamento, perché hanno imparato a essere versatili e che nulla è mai per sempre. Hanno imparato che la vita è evoluzione continua.

Speriamo che il contributo per i figli stabilito dalla nuova normativa segua un diverso percorso culturale, svincolandosi da quel ginepraio di misure fiscali assistenziali che tramandano infine un concetto di società patriarcale In cui la donna è economicamente dipendente.

  • Imprenditrice

5 commenti su “ESSERE CITTADINE: LA DIGNITÀ DELL’AUTONOMIA”

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