Fondazione Marisa Bellisario

NON LASCIAMOLE SOLE

Siamo scese in piazza ed è stato bello. Bello che accanto a noi ci fossero tante donne, tante ragazze e ragazzi iraniani. Bello che ognuna di noi abbia sacrificato un pezzetto del suo tempo e dei suoi agi per chi dall’altra parte del mondo sfida ogni giorno la morte. Bello tornare ai tempi in cui in piazza si scendeva con impegno e convinzione per rivendicare diritti e libertà negate. Bello esserci insieme e far sentire la propria voce. Quello della Fondazione Marisa Bellisario è un impegno morale verso quelle donne e quei giovani che lottano ogni giorno mettendo a repentaglio la propria vita e mi auguro diventi un impegno anche della politica.

Azar Nafisi, scrittrice iraniana in esilio, alla domanda su come le democrazie occidentali possano aiutare le donne iraniane, risponde: «Parlando di loro. Perché il regime dice in continuazione che sono sole, nessuno al mondo si interessa a loro. È una guerra psicologica. Se l’opinione pubblica nei Paesi liberi parla di loro, compie l’opera più decisiva, importante. Non farle sentire sole. Per questo sono importanti gli eventi di solidarietà».

In questi mesi, ho letto e ascoltato centinaia di testimonianze e analisi. Mi sono commossa e infuriata ma soprattutto ho compreso la portata enorme di quello che sta accadendo in Iran. Non una semplice rivoluzione ma «un movimento di recupero della vita» l’hanno definito i più profondi conoscitori della cultura e della società iraniana. In tanti abbiamo trovato analogie con le rivolte della Primavera araba, soprattutto per quanto riguarda la scintilla iniziale e l’inizio delle proteste di piazza. Ma le differenze sono tante e lasciano ben sperare. Innanzitutto, a differenza della Tunisia o dell’Egitto, in Iran la vita quotidiana e privata delle persone, soprattutto donne, sono state sottoposte a una soffocante sorveglianza ideologica e politica. Un sistema paragonabile solo al regime talebano in Afghanistan. E poi, la differenza più potente delle proteste cui stiamo assistendo sta nel riconoscimento della donna come “soggetto” trasformatore e della “questione femminile” come fulcro strategico della lotta.

Rispetto ad altri Paesi islamici, il governo religioso in Iran è stato straordinariamente patriarcale e misogino, sia ideologicamente sia strutturalmente. Quando l’8 marzo del 1979, l’ayatollah Khomeini provò a rendere il velo obbligatorio, decine di migliaia di donne scesero in piazza con lo slogan “la libertà non è né orientale né occidentale, la libertà è globale”. La resistenza e l’opposizione delle donne è iniziata lì, oltre 40 anni fa, quando attraverso il velo si è tolta loro ogni libertà di espressione e di scelta. E per decenni, le donne iraniane hanno continuato la loro resistenza nella pratica della vita quotidiana, impiegando la loro “arte della presenza” in pubblico e attraverso i loro non-movimenti. Una lotta silenziosa che ha nutrito una nuova generazione di donne. Ogni volta che avevano un’invisibile opportunità, cercavano di organizzare e costruire campagne collettive mentre pubblicamente il regime non tollerava nemmeno che le attiviste tenessero riunioni nelle loro case. E nel frattempo, studiavano, arrivando a superare i colleghi uomini negli atenei (le ragazze sono oggi il 60% degli studenti universitari). E resistevano alle umiliazioni e minacce della polizia morale e delle forze di sicurezza. Secondo un rapporto della polizia del 2006, durante gli otto mesi di aggressione alle “cattive hijabi” (donne che indossano il velo sciolto), 1,3 milioni di donne sono state fermate e hanno ricevuto citazioni formali. L’anno successivo, durante un giro di vite di tre giorni, furono arrestate in più di 150mila. La resistenza e l’invasione silenziosa delle donne iraniane non sono mai arretrate.

E ora, proprio quel non-movimento, mediato dall’omicidio di Mahsa Amini, ha dato vita a una straordinaria rivolta politica in cui le donne e la loro dignità sono diventate voce della dignità umana. Questa la loro incredibile forza. Non solo sole, in patria e all’estero. Il carattere inclusivo della loro protesta per la vita ha abbracciato molti altri gruppi e classi sociali, religiose ed etniche. C’è la sensazione che l’emancipazione delle donne apra la strada all’emancipazione di tutto il popolo iraniano. «È come se fosse nato un “nuovo Iran”, un “Iran globale”, un collettivo di persone diverse, separate dalla geografia ma molto unite nei sentimenti, nelle preoccupazioni e nei sogni».

Ho letto i documenti di Amnesty International sui processi sommari e le condanne a morte inflitte in questi mesi. Attualmente, sono in oltre venti i condannati a morte, tutti uomini. Una forza deflagrante di fronte alla quale il regime sembra disarmato. Non si possono sterminare 87 milioni di iraniani… Si possono fare vittime, che continueremo a piangere, ma non si può arrestare quella rinascita che le donne hanno avuto il coraggio di muovere.

Le donne iraniane non sono sole e lo sanno. Continuiamo a scendere in piazza per loro ma facciamolo anche per le donne afghane, chiuse in un angolo della storia nel loro Paese. Diamo loro la forza e il coraggio di scendere in piazza contro il regime talebano che le sta sottraendo al loro corpo e alla loro stessa vita. Insieme si può.

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7 commenti su “NON LASCIAMOLE SOLE”

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