Fondazione Marisa Bellisario

MOLESTIE SUL LAVORO: LA LEGGE CHE MANCA

di Monica Mosca*

Nella mia carriera da giornalista – ho iniziato ragazzina, ma sono trascorsi ormai 32 anni – sono stata finora molto fortunata. Perché non mi è capitato mai di subire alcuna forma di molestia o ricatto sessuale sul lavoro. Eppure ho avuto solo capi uomini e non mi sono risparmiata né minigonne né scalate al tanto citato soffitto di cristallo.

Sono diventata direttore grazie alle mie capacità e, a parte un paio di mascalzoni che hanno cercato di intralciare il mio cammino lavorativo e che ho segnalato ai miei superiori con la furia e la velocità di un tuono, nessuno mi ha dato fastidio. È probabile che in mio favore abbia giocato anche un carattere al bisogno così poco affabile, ma visti i numeri spaventosi che sto per raccontarvi è sicuramente merito di una buona dose di fortuna se non mi sono scontrata mai sull’intollerabile e odioso terreno delle molestie sessuali.

Permettetemi prima un piccolo aneddoto, che verrà buono poi. In ufficio mi è capitato di imbattermi più volte in ascensore in un signore distinto, più grande di me, che appena si chiudevano le porte automatiche si girava dall’altro lato e semplicemente diceva: “Scusi le spalle”. All’inizio pensai che fosse un po’ strambo, o forse molto timido: presto mi accorsi però che quel suo voltarsi mi dava l’agio di salire dieci piani (il mio ufficio era allora al penultimo piano di un palazzone di vetro) senza il lieve disagio che tutte abbiamo provato quando si sta in un ascensore con un uomo estraneo. Dove guardo, dove guarda lui, speriamo che non attacchi conversazione… Tempo dopo, fu lui a spiegarmi quel suo atteggiamento: “Mi giro per non mettere in imbarazzo le signore”.

Gli ultimi dati disponibili dell’Istat relativi alle molestie sul luogo di lavoro raccontano una realtà in confronto alla quale il mio distinto signore pare un alieno.

Sono 1 milione e 400 mila le donne italiane tra i 15 e i 65 anni che hanno dichiarato di avere subito ricatti sessuali o molestie fisiche da parte di colleghi o datori di lavoro. Inoltre, leggete che sorpresa, quelle più bersagliate sono state le donne laureate e quelle dai 35 anni in su: significa che il maggior numero di vittime non sono (solo) giovani e timide segretarie in balia di capi disgustosi, ma donne in carriera che hanno poi taciuto per non essere punite con retrocessioni o ritorsioni.

Nella quasi totalità dei casi, l’autore dei ricatti o delle molestie sessuali sulle donne è un uomo. Nell’11,3 per cento dei casi le donne vittime hanno subito più ricatti dalla stessa persona e il 32,4 per cento dei ricatti viene ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana.

È una fotografia drammatica, che ci restituisce un mondo del lavoro per le donne troppo spesso tossico, asfissiante, violento, umiliante. Un mondo che ancora, nel 2023, dopo cento battaglie che evidentemente non sono bastate, dopo mille articoli di giornale che evidentemente sono stati pochi, dovrebbe far vergognare l’intera categoria degli uomini, se tali fossero tutti.

Ho scritto che le donne raramente denunciano le molestie sessuali subite sul luogo di lavoro, e anche qui c’è da impegnarsi tutti insieme perché questa mentalità di subire pur di non dare scandalo o di non essere punita deve interrompersi. Prima ancora, però, bisogna che la legge vada in aiuto di chi è l’oggetto di tali becere e rovinose molestie: perché in Italia non esiste una norma specifica che se ne occupi e dunque denunciare un ricatto sessualmente volgare, o una profferta sessuale in cambio di un avanzamento di carriera, o un continuo assalto verbale è molto difficile e l’esito sta nella sensibilità individuale dei giudici, non nella certezza di norme scritte.

Questa è la situazione attuale: l’articolo 609 bis del codice penale norma la violenza sessuale, cioè gli atti violenti subiti dalle donne in situazione di costrizione. Punisce quindi lo stupro e gli atti sessuali imposti, e per prassi regola spesso anche le molestie più gravi. Un esempio molto recente riguarda proprio una giornalista, che mentre era collegata in diretta dopo una partita di calcio ha ricevuto una pacca sul sedere da un tifoso, ripreso dalle telecamere. Il molestatore è stato condannato.

Assolto invece, sempre nel 2022, un sindacalista che palpeggiò una hostess in un ufficio di Malpensa: i giudici riconobbero che la donna era stata effettivamente toccata, ma non era da considerarsi vittima poiché si era ribellata solo dopo 20 secondi e non era fuggita, nonostante la porta non fosse chiusa a chiave.

È dunque da appoggiare la proposta di legge avanzata dalla senatrice PD Valeria Valente, che già durante il precedente governo l’aveva portata  in discussione nelle commissioni Giustizia e Lavoro, senza però riuscire a farla approvare. Prevede di punire con la reclusione da due a quattro anni «chiunque, con minacce, atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, in forma verbale o gestuale, reca a taluno molestie o disturbo violando la dignità della persona». E che la pena sia aumentata della metà se il fatto è «commesso nell’ambito di un rapporto di educazione, istruzione o formazione ovvero nell’ambito di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, anche di reclutamento o selezione, con abuso di autorità o di relazioni di ufficio, deriva un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo».

La violenza e le molestie nel mondo del lavoro costituiscono una violazione o un abuso dei diritti umani, sono una minaccia per le pari opportunità, sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso: quest’ultima frase non è mia, è un paragrafo della Convenzione n.109 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Non è così noto che sia da poco stata ratificata anche in Italia, e non è nemmeno sufficiente. Prevede infatti che ciascun Paese si impegni a varare leggi che prevengano e puniscano le molestie nel mondo del lavoro.

Il momento è davvero arrivato.

*Giornalista

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7 commenti su “MOLESTIE SUL LAVORO: LA LEGGE CHE MANCA”

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