di Laura Parlavecchio*
Se in natura, nel regno animale il comportamento aggressivo verso individui della propria specie o di altre obbedisce al principio di necessità (nutrimento, difesa della prole e del territorio), nella specie umana si assiste a un cambiamento sostanziale delle motivazioni. Secondo lo schema arcaico della famiglia patriarcale, il capofamiglia stesso acquista e cede individui dello stesso clan, secondo una strategia di allargamento dei confini territoriali, che supera il principio di necessità e diventa avidità e desiderio di potere. Lo step successivo è quello di dare una cornice ideologica a questo processo, in modo da rendere i componenti del gruppo familiare o della tribù allineati e partecipi alle motivazioni del capogruppo.
Con l’evoluzione sociale e politica, che ha visto nei secoli il passaggio dalla figura del capotribù a quella del Presidente della Repubblica, si è assistito a una sublimazione dell’aggressività di uno Stato verso uno Stato vicino. Gli Stati democratici combattono una guerra economica, commerciale, politica, diplomatica, ma senza evidenti spargimenti di sangue. La struttura dello Stato democratico, con la divisione dei poteri, costringe le Istituzioni a dialogare tra di loro e a trovare una soluzione stemperando l’aggressività attraverso il lavoro razionalizzante del confronto civile tra pari. In uno Stato monocratico, anche se in presenza di un Parlamento, il dialogo fra Istituzioni è solo formale, in quanto le decisioni non passano dal processo di decantazione innescato dal confronto tra pari. Questo fa sì che l’aggressività che si declina come brama di potere, facilmente si estrinsechi in aggressioni verso Stati vicini o di minoranze del medesimo Stato.
Se intendessimo uno Stato come singolo individuo, potremmo dire che quello monocratico è sbilanciato e disfunzionale nelle capacità di gestire l’aggressività al suo interno. Per tale motivo più facilmente la agisce verso terzi, individuati opportunamente come nemici, con un funzionamento psichico di tipo paranoide. Questa dinamica, che dal singolo si estrinseca trasversalmente attraverso tutti gli strati sociali coinvolgendo tutta la popolazione, individua la guerra come la più grave e autodistruttiva forma di patologia sociale.
*Psichiatra Psicoterapeuta
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