Mancano pochi giorni al voto. Un voto decisivo, dirimente per un Paese in bilico da tanti punti di vista. Un voto che arriva dopo una campagna elettorale lampo e rovente, in cui i partiti in campo hanno dato il peggio di sé. A chi, come me e come quelli della mia generazione, è stato insegnato che il voto è un dovere ma ancor prima un diritto da custodire e difendere, resta l’amaro in bocca di dover consegnare una scheda elettorale piena di sfiducia e delusione. Veniamo da una storia di ideali e ideologie, vissute con passione e visione, e ci ritroviamo con futuri parlamentari e ministri che si limitano a lanciare slogan “acchiapavoto” e pensano che il modo per intercettare il voto dei giovani sia una disinvolta apparizione su Tik Tok…
Sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini lancia una provocazione: far sì che il voto dei giovani pesi di più. Io aggiungerei di giovani le donne, i due grandi dimenticati dalla politica. Senza giovani e senza donne non c’è futuro, sostenibilità, progresso ma questo, a quanto pare, non è argomento elettoralmente remunerativo. Siamo agli ultimi posti in Europa per cultura (peggio di noi Ungheria, Romania, Portogallo e Cipro) e per percentuale di laureati e abbiamo il maggior numero di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano. Eppure, abbiamo sentito tanto parlare di energia, giustamente, di tasse e pensioni, di atlantismo e immigrati ma di questi numeri e di come invertire la rotta? E forse hanno parlato nei loro comizi della grande emergenza della denatalità? «Invertire il trend del calo demografico è una priorità», ha detto il Presidente di Confindustria Bonomi. Il Papa dice addirittura che fare figli è «patriottico», questo mentre i leader che si candidano a guidare il Paese si avvitavano su alleanze e sistemi elettorali.
Le quote di genere e l’aborto – abolire le prime e aiutare le donne a non abortire – sono stati i temi di genere che hanno infiammato lo scontro elettorale e questo la dice lunga sul silenzio assordante delle politica. Si è parlato di Europa per ridefinire le alleanze, per condannare o meno Orban ma non valeva forse la pena parlare dei modelli francese e tedesco, di come due Paesi con cui vantiamo di voler contendere la leadership europea hanno risolto le disparità sul lavoro e arrestato il calo delle nascite? La Germania, per esempio, ha puntato con decisione sugli asili nido, intesi sia come un sostegno alle famiglie (e alle donne in primis), sia come una leva per creare nuovi posti di lavoro: attualmente, c’è un posto al nido per il 75% dei bambini tedeschi (in Italia la percentuale non arriva al 25%) e chi non riesce ad accedere a una struttura può rivolgersi a un tribunale, perché l’asilo è considerato un diritto. In Italia, l’assistenza all’infanzia crea a stento lo 0,2% di occupazione, in Francia il 2,5% e non a caso lì il tasso di occupazione femminile è al di sopra della media europea (62,5%) e si fanno poco meno di due figli per donna (contro 1,25 dell’Italia).
E torno alla provocazione di dare più peso al voto di giovani e donne. In una proposta così improbabile c’è l’amara consapevolezza che quello della politica è diventato un mercato di voti e non un agone di idee per costruire il Paese che vogliamo e che ci meritiamo pure. La campagna elettorale che, fortunatamente, volge al termine, ha ratificato la miopia dei leader che dovrebbero traghettarci nel futuro e che invece, per conquistare un posto al sole, si limitano a promettere sconti sulle bollette. Certo preoccupa che dovremo razionalizzare i consumi di energia ma personalmente mi preoccupa di più che tra vent’anni avremo scuole vuote o che i nostri figli continueranno a portare il loro talento all’estero e a impoverire di intelligenze il nostro Paese.
Poi siamo italiani e portati a pensare che tutto volgerà al meglio, che ce la faremo ancora una volta ma il punto è che non basta più “farcela”. Siamo in un mondo nuovo, sconfinato, interconnesso, in cui la mancanza di lungimiranza e visione sono il peggiore dei peccati. Il conto prima o poi arriverà e dovranno pagarlo quei figli che il 25 settembre magari non andranno a votare perché tanto è lo stesso, perché nulla cambia e perché la politica ha ancora una volta ribadito la loro insignificanza.
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