di Gabriella Chiellino*
Negli anni sessanta, quando l’Occidente poco si interessava di sostenibilità o di cambiamenti climatici, Lynn White, uno storico medioevalista, propose San Francesco quale patrono degli ecologisti. L’idea di una fratellanza universale fra tutte le creature emendava il dogma della supremazia degli umani e apriva una nuova era tra la nostra religione e la natura. L’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco nel 2015, rappresenta l’epilogo di quella grande intuizione francescana. Tutti gli animali, ma anche il vento, l’acqua, il fuoco, la terra, il sole, la luna… diventano fratelli e sorelle di uomini e donne perché tutti siamo “interconnessi”. E se tutti e tutto è interconnesso non è più giustificato il comportamento predatorio e prevaricatore. Non ha più fondamento lo sfruttamento da parte dell’Uomo sulla Natura e gli animali.
Dal febbraio 2022 la nostra Costituzione all’art. 9 e 41, sancisce che salute e ambiente sono paradigmi da tutelare, da parte dell’economia, al pari della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Ma, soprattutto, introduce il principio della tutela delle future generazioni. Non più, quindi, attenzione, “solo”, all’esistente ma anche a chi ancora non c’è. Per questo gli attuali drammi climatici, tra cui le esondazioni recenti in Emilia, descrivono appieno l’Ecologia Integrale: “questi situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo”. Il Creato è un Tutto inscindibile. Se il clima cambia, cambieranno anche le condizioni degli umani e degli animali. Se le condizioni degli umani cambiano, modificando, inquinando e influendo sul territorio, cambieranno anche le condizioni ambientali. Se i Paesi più ricchi contribuiscono al cambiamento climatico, le ripercussioni più gravi si avranno nei paesi più poveri. E tra i più deboli vi sono le donne.
È accertato scientificamente che più le donne sono alfabetizzate e istruite, più le famiglie sono curate, più esse fanno lavori “formali” e più velocemente le società progrediscono. Le donne hanno contribuito a sconfiggere la povertà, soprattutto quella estrema, e ora sono mobilitate, soprattutto nelle aree urbane e nelle megalopoli, nella realizzazione di una giustizia climatica ed ecologica perché sono le più sensibili riguardo il benessere dei figli e delle figlie e curano con attenzione i legami e le relazioni. Più volte negli ultimi anni la Commissione Onu sullo status delle donne ha enfatizzato la lettura del cambiamento climatico in chiave di genere. Non solo in occasione dell’8 marzo! Il tema può sembrare una forzatura, ma non è affatto così. Un’analisi della letteratura fatta dalla Global gender and climate alliance ha evidenziato come, secondo il 68% dei 130 studi sull’argomento esaminati, le donne subiscano impatti del cambiamento climatico maggiori degli uomini. Perfino la raccolta di dati sulle conseguenze di eventi estremi o sulle politiche ambientali viene fatta in modo disaggregato per genere in soli 17 Paesi sui 195 stati nel globo. Nonostante siano proprio le donne ad aver cambiato più velocemente le proprie abitudini e stili di vita in un’ottica più green. Circa il 60%, ad esempio, di coloro che abitano nei Paesi del G20 (sondaggio di Women’s forum 2021) ricicla e ha smesso di usare prodotti monouso. Il 50% sostiene la produzione locale e ha ridotto o razionalizzato il consumo di acqua.
L’Ecologia Integrale è l’espressione di queste grandi interconnessioni; tra l’umanità e la natura, tra i generi, con anche aspettative più alte proprio in capo alle donne. Spesso si leggono titoli di giornali che indicano le donne come salvatrici del mondo. Le donne più ecologiste degli uomini. Le donne più preoccupate per i cambiamenti climatici. In parte sono sottolineature, ma in parte rappresentano una verità che i sondaggi colgono frequentemente. Si tratta anche di un risultato conseguente alla condizione femminile perché spesso le donne si occupano, più degli uomini, della casa (e quindi si occupano della spazzatura), dei figli (e quindi sono attente a quali mezzi di trasporto usare) o della cucina (e quindi quali cibi e che tipo di buste della spesa utilizzare). Tutto vero. Così come, purtroppo, è tutto vero che a fronte di questa narrazione e presa d’atto attraverso letteratura o sondaggistica, nonostante l’importanza delle donne per l’ambiente, esse rimangono sottorappresentate negli organi decisionali. Nei ministeri nazionali che si occupano di ambiente e cambiamento climatico, nell’Unione Europea le donne sono in media il 32,2 per cento. Uno studio, Women and local public finance (Casarico-Lattanzio-Profeta 2021) rivela che nei comuni italiani i sindaci donna destinano una quota di bilancio più elevata alle politiche legate all’ambiente, e questo avviene anche quando nel consiglio municipale ci sono più donne.
Ecco allora che la Fondazione Bellisario, fondata da una donna coraggiosa, può aderire al Movimento Laudato SI, nato dopo la Pubblicazione dell’Enciclica Laudato SI di Papa Francesco nel 2015, e firmare l’appello al DISINVESTIMENTO SULLE FONTI FOSSILI.
Questo cosa determina, che nei CDA delle aziende dove è presente un membro della Fondazione Bellisario, ci sia un operatività reale ad arrivare all’obiettivo Emissioni Zero del 2050, traghettando il 2030 a meno 55%.
E tutto questo non solo perché Banca d’Italia ha delle attese finanziarie sui Piani di Sostenibilità delle Banche e delle SGR, dove si deve dimostrare la risposta ai rischi climatici degli investimenti, ma perché si ha ben precisa la Responsabilità per le Future Generazioni
* Fondatrice e Presidente eAmbiente Group
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