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di Laura Luigia Martini*
Per chi come me è cresciuto all’ombra della cultura anglosassone, “God save the Queen” non è solamente l’inno nazionale del Regno Unito, peraltro un vero gioiello musicale, ma è soprattutto il simbolo della storia di uno Stato diverso da ogni altro, il monito della vita di donne di eccezionale valore che hanno profondamente cambiato il modo di sentire e di vivere il proprio sesso per un credo superiore, per il bene del loro Paese.
Sto parlando naturalmente di alcune Regine inglesi, donne che, pur non rinunciando alla loro naturale femminilità, hanno saputo guidare i propri sudditi al successo in numerosissimi campi con fermezza e determinazione, sostenendo un ruolo tutt’altro che scevro di difficoltà di ogni genere, semplicemente per diritto di nascita: toccava a loro. Certo la storia inglese ci racconta anche di Re importanti, ma non tutti i Paesi possono vantare le Regine che hanno fatto davvero grande l’Inghilterra, Nazione dall’animo fortemente atlantista, da sempre la prima alleata degli USA nel Vecchio Continente, con le proprie maggiori eccellenze in campo finanziario e militare.
Elisabetta I Tudor regnò nel ‘500 per circa 44 anni, regno che all’unanimità gli storici valutano in senso estremamente positivo. Elisabetta non si sposò mai, era sola, eppure, grazie alle sue innate capacità di gestione, stabilizzò l’economia di un Paese che versava in condizioni critiche. “Mio amato popolo” – così si rivolse alle truppe quando alla testa del suo esercito respinse un pericolosissimo tentativo di invasione spagnola, e sempre nel rispetto di quel popolo a maggioranza luterana, tollerò durante tutto il suo regno le minoranze cristiane.
Qualche secolo più tardi la Regina Vittoria fu monarca del Regno Unito dal 1837 al 1901, nonché Imperatrice d’India dal 1876. Donna dagli innumerevoli talenti e dalla straordinaria forza d’animo, Vittoria ebbe ben 9 figli e il suo operato segnò un’epoca d’oro per l’Inghilterra, l’indimenticabile “Victorian Age”. In quegli anni fiorirono lo sviluppo industriale, culturale, militare, politico nonché scientifico dei territori sotto il suo regno.
Che dire infine di Elisabetta II, attuale Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché di altri reami del Commonwealth? Ha festeggiato lo scorso 6 febbraio 70 non facili anni di regno. Elisabetta è una donna con una rigidissima morale, un forte senso dei doveri religiosi, e più di ogni altra cosa una fede incrollabile nel giuramento della sua incoronazione. Instancabile lavoratrice, crede nella meritocrazia e persevera nell’assolvere con totale dedizione ai propri doveri. “Ci opponiamo implacabilmente a tutte le forme di discriminazione che affondano le loro radici in genere, razza, colore, fede, convinzione politica o altro” – questa la frase che pronunciò nel 2013 in occasione della firma del documento per la parità dei diritti e contro la discriminazione di genere.
Cosa ci racconta dunque la vita di queste tre donne? Chi sono questi inglesi che per tanti anni della loro storia si sono fatti guidare da donne di ascendenza reale che loro hanno senza dubbio incondizionatamente amato? Il problema della parità di genere non esiste forse in quella terra?
Il problema esiste, ma è molto meno radicato e molto più facile da combattere. Come da noi, a danno delle donne inglesi vengono talvolta perpetrate violenze fisiche, dentro o fuori casa, violenze psicologiche – che sono molto spesso le più profonde e per questo più difficilmente sanabili – atti persecutori, comportamenti illeciti. Tuttavia lo stesso ricorso alla giustizia è più frequente poiché minore la paura delle conseguenze, maggiore la consapevolezza del diritto ad una vita serena, ad esprimere e vedere riconosciuti i propri talenti, del diritto a quel rispetto che si deve pretendere poiché su di esso si basa qualsiasi tipo di relazione, in qualsiasi contesto. Per non perdere il sorriso, per non perdere il sorriso dei propri figli se si è madri. Insomma, si tratta di un fatto squisitamente culturale, che affonda le proprie radici nella storia di un grande popolo.
L’Italia è il mio Paese, e io l’amo moltissimo, ma se pensiamo al fatto che il cosiddetto “delitto d’onore” fu abolito soltanto 40 anni fa, quello che la nostra legislazione ha fatto per le donne italiane in questo frattempo è davvero moltissimo. Il resto sta dentro di noi, nessun altro può darci la forza. Questo non significa che dobbiamo arrenderci davanti ad una discrepanza culturale evidente, ma che per noi la strada sarà necessariamente più lunga. E allora, con coraggio, con rinnovata speranza e fiducia nelle nostre possibilità, non ci resta che unirci al coro e dire: “God save the Queen!” – “Dio salvi la Regina!-.
*CEO Business Advisor, Executive Vice President Corporate Business Development FINCANTIERI
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