Fondazione Marisa Bellisario

LE PAROLE PER DIRE DENARO E PER COMBATTERE LA VIOLENZA ECONOMICA

di Federica Garbolino*

Mi è piaciuto molto il titolo dell’ultimo libro di Azzurra Rinaldi, docente Economia Politica e Direttrice Gender School of Economics di Sapienza, “Le signore non parlano di soldi” (Feltrinelli, 2023), perché concentra in un’unica frase tante storie: la storia di chi non ha conoscenze sufficienti per argomentare sul piano economico, la storia di chi avrebbe le conoscenze ma “non osa o non se la sente”, la storia di chi si vergogna o ha pudore ad affrontare un argomento considerato tipicamente maschile, la storia di chi si sente incastrata in una relazione di sudditanza economica e teme di non potersi mantenere da sola.

Dietro queste storie si nascondono tante sfaccettature di violenza economica, alcune più evidenti, altre più sottili: dalla differenza retributiva a parità di posizioni e responsabilità organizzative alla delega al marito/padre/compagno della gestione finanziaria o degli investimenti, dall’inconsapevolezza o impossibilità di utilizzare le risorse finanziarie disponibili in famiglia fino alla dipendenza finanziaria dovuta alla mancanza di un lavoro.

Delle quattro forme di violenza (fisica, sessuale, psicologica ed economica) riconosciute dalla Convenzione di Istanbul nel 2011, quella economica è una delle più diffuse a tutti i livelli culturali e professionali, ma è fra le più difficili da quantificare. Un dato che mi ha colpito è quello sulla dipendenza finanziaria, una delle più evidenti accezioni di violenza economica, rilevato dall’indagine Ocse-INFE nel 2020 (la post pandemia potrebbe aver ulteriormente amplificato questi numeri), secondo cui in Italia si trova in questa condizione il 21,5% delle donne, contro il 5,09% in Germania, il 5,13% in Austria e il 9,73 in Polonia. Nella stessa direzione, l’ultimo rapporto D.i.Re – Donne In Rete contro la violenza del 2022 evidenzia che il 33% delle donne che si rivolge a un centro antiviolenza è senza reddito, e meno del 40% ha un reddito sicuro.

Buona parte della violenza economica più subdola e sottile è invece figlia di retaggi culturali e psicologici. Io stessa mi accorgo che, anche fra le amiche, si parla poco di soldi, reddito, stipendio, investimenti, e sempre con una certa ritrosia o imbarazzo. Secondo la Harvard Business Review, in fase di assunzione, solo il 12,5% delle donne americane discute o contratta lo stipendio, a fronte del 58 % degli uomini. Sembra che il denaro sia rimasto per molte donne uno degli ultimi tabù da superare (“discorsi da uomini”), unitamente agli stereotipi di genere che nei secoli hanno orientato le donne più verso il focolare che verso l’autonomia economica. Per questa ragione, mi piacciono la newsletter e i podcast di RAME, un sito e un progetto creati dalla giornalista Annalisa Monfreda e dalla designer Monserrat Fernandez Blanco (rameplatform.com), caratterizzati da «conversazioni audaci sui soldi».

Parafrasando Marie Cardinal, credo sia fondamentale per noi donne trovare “le parole per dire denaro”. La capacità di stabilire un rapporto equilibrato con il denaro, di ricercare un lavoro che dia un’indipendenza economica, la conoscenza di come investire e proteggere i guadagni mettono al riparo le donne dalla violenza, creando una condizione psicologica di sicurezza e coraggio che aiuta anche a denunciare i fenomeni di violenza e a difendere i propri diritti contro le discriminazioni e la disparità di genere.

Per questa ragione rinnoviamo – in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – l’importanza di un’educazione economico-finanziaria diffusa e presente fin dai primi anni scolastici.

Sapere è potere: poter denunciare, poter alzare la testa, poter decidere.

*Psicologa, manager e già segretaria Comitato Impresa Donna

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