di Monica Mosca*
Inaudita gravità e manifesta disumanità: è la motivazione scritta dal gip di Venezia Benedetta Vitolo nell’ordinanza di custodia cautelare emessa per Filippo Turetta, arrestato in Germania e in attesa di estradizione con l’accusa di omicidio volontario e sequestro della ex fidanzata Giulia Cecchettin.
Inutile inseguire l’attualità dell’indagine, in pieno svolgimento: il video che mostra l’attacco sferrato dal ragazzo è lampante, gli inquirenti ora valutano se ci sia stata o meno premeditazione. I fatti li conoscete, ci sono rimbalzati nel cervello per una settimana – quanto è durata la fuga di lui – da ogni telegiornale, radio, quotidiano, social: le violenze e le coltellate, il corpo di lei nel baule dell’auto, la fuga per mille chilometri fino in montagna, il cadavere nascosto sotto una roccia vicino al lago di Bàrcis.
Quello di Giulia, una laurea in Ingegneria Biomedica che avrà postuma perché è stata ammazzata prima di presentare la tesi, è il femminicidio n.103 del 2023, un numero che neanche si riesce a scrivere. Celebriamo dunque questo 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in ricordo anche dei suoi occhi belli, spenti da un uomo che diceva di amarla.
Faccio una premessa indispensabile: cerchiamo di evitare che lo sdegno comune diventi sterile cantilena. “Adesso basta”, “Che sia l’ultima”: invocazioni sacrosante, le faccio mie, ma ormai è tardi, le voci che si levano dalle piazze non bastano più. Bisogna che dall’universale si scenda nel particolare, e si agisca.
Ci sono tre ragioni per le quali l’omicidio di Giulia ci ha scosso così nel profondo ed è diventato un unicum: la prima è appunto il video del massacro. Questa volta una telecamera ha cristallizzato la scena e siamo diventati d’improvviso spettatori dell’orrore. Non c’è stato sospetto, giallo, speranza: quelle immagini descritte nei particolari ci hanno colpiti come una mazzata in volto. E ci hanno tolto ogni alibi di indifferenza.
Il secondo motivo è l’età di Giulia e Filippo: 22 anni soltanto, coetanei. Impressione e sgomento si mescolano di fronte a due ragazzi così giovani. Non è il primo femminicidio perpetrato da un ragazzo, ma è il primo di fronte al quale i sentimenti di tutte le giovani donne italiane si sono universalmente trasformati: “abbiamo paura”, hanno urlato all’unisono, “non ci sentiamo mai al sicuro”; addirittura, “siamo fortunate”, perché a loro non è toccata la sorte di Giulia.
Non era ancora capitato che il dolore per un femminicidio mutasse così, immediatamente, in un terrore riflesso, corale. Portandoci a una considerazione tristissima: anche la generazione Z è contaminata dai rigurgiti violenti del patriarcato. Hanno vent’anni, li credevamo impermeabili figli e nipoti di quel retaggio inaccettabile, di quella società che pian piano, pianissimo, va a offuscarsi. Sbagliavamo.
Non c’è purtroppo età per chi pensa di poter ridurre le donne a proprietà privata.
Quelli che ancora non si arrendono all’evidenza, o peggio la negano, ripetono la vecchia ammonizione di non fare di tutta l’erba un fascio, perché non tutti gli uomini sono colpevoli. Troppo facile. Se davanti all’uccisione di Giulia un uomo si premura di chiarire “Io non sono così”, ha la colpa di mettere il proprio ego davanti a tutto e di non partecipare alla rivoluzione culturale indispensabile per cambiare lo stato dei fatti.
Non tutti gli uomini sono tecnicamente colpevoli, certo, ma tutte le vittime di femminicidio sono uccise da uomini da loro rifiutati. I maschi per primi devono accettare che un’educazione affettiva è cosa necessaria perché la loro intera categoria impari.
Infine, la terza ragione per cui l’omicidio di Giulia ci ha colpito è il pressoché concomitante arrivo di un nuovo pacchetto di leggi e provvedimenti studiati in difesa delle donne. Abbiamo pensato “sia ringraziato il cielo”. Poiché però è il governo che dobbiamo ringraziare, prima di rallegrarci – quanto è stridente questo verbo – monitoriamo che tali misure producano fin da subito i loro effetti, perché nel frattempo gli assassini non si redimeranno in autocoscienza.
Controlliamo anche che siano applicate seriamente: se un femminicida, ad esempio, è condannato pur in tempi rapidi a 30 anni, che poi li faccia in carcere, e non ci siano buone condotte, sconti di pena, permessi premio… O che, sempre ad esempio, le ore scolastiche di educazione affettiva siano curricolari e non facoltative, e non una volta all’anno. E, soprattutto, che a salire in cattedra siano personaggi qualificati e sinceramente convinti della gravità della situazione attuale, e dell’inviolabile diritto delle donne di essere libere, sempre. Ecco, almeno questo.
*Giornalista