Fondazione Marisa Bellisario

LE MACERIE, I PERICOLI E LE SPERANZE DELL’OGGI

di Ornella del Guasto*

È straordinaria la velocità con cui il quadro geopolitico mondiale stia cambiando e non solo per le guerre, i problemi energetici o i flussi migratori. Forse sbaglio ma penso che in questa realtà globale in inquietante movimento possa essere anche collocata l’umiliante sconfitta di Roma nella selezione per l’Expo 2030 con i Paesi europei divisi in largo anticipo da invidie, rivalità, interessi mercantili che li hanno portati a trascurare ogni visione d’insieme per interessi particolaristici.

Dello scenario complessivo è tuttavia colpevole l’intero Occidente, incapace di valutare la situazione per porre rimedio alla sua crescente debolezza. Una esemplare dimostrazione è stata la trascuratezza con cui ha guardato al recente vertice dei Brics (Brasile, Russia, India Cina, Sudafrica), potenze emergenti che stanno condizionando il Grande Gioco internazionale, gruppo a cui vogliono aggregarsi per ragioni strategiche Egitto, Etiopia e soprattutto Venezuela, Iran e Arabia Saudita, tutte economie ricchissime di risorse naturali, che intendono diventare protagoniste della costruzione della nuova geopolitica del futuro. Così le divisioni occidentali stanno invece portando alla ribalta l’importanza della finanza, del petrolio e, per fare un esempio, di un regime come l’Arabia Saudita che, anche se ha fatto alcuni modesti passi verso la laicizzazione, continua a non rispettare i diritti umani, ha il potere di condizionare le economie mondiali e di rallentare l’iniziativa di chi vuole salvare il clima allontanandosi dalle energie fossili. Una nazione cui pericolosamente con interesse stanno già guardando alcuni Paesi del Sud del mondo.

Ma lo scenario del cambiamento è molto più ampio rispetto al centro della crisi in Medio Oriente. Infatti mentre fino ad oggi resta ancora tragicamente sospeso il conflitto Israele-Hamas, la Russia e la Cina vi hanno trovato la grande occasione di vedere spostata l’attenzione occidentale dal fronte ucraino e, mettendosi al fianco dell’Iran di religione in prevalenza sciita, di formare un asse capace di fronteggiare il ruolo di protagonista che sta assumendo l’Arabia Saudita sunnita. Soprattutto la Cina, che nell’incipiente crisi economica interna vede Ryad minacciare il suo monopolio sull’Africa e sulle sue risorse, una strategia che Pechino aveva ha tessuto da tempo; proprio mentre in Asia crescono le ambizioni dell’India che per la prima volta quest’anno ha superato la Cina in crescita economica e demografica. A completare il quadro dei contrapposti interessi, oggi all’intesa tra Russia, Cina e Iran guarda con simpatia anche la Turchia alla continua ricerca di spazio per le sue ambizioni espansionistiche.

Ma da tempo, creata dalla Cina, c’è in sospeso un’altra pericolosa area di crisi che sta distraendo l’attenzione degli USA dal fronte occidentale, quella del Pacifico, dove Pechino rivendica il suo diritto sul territorio di Taiwan. L’isola è strategica non solo perché è tra i maggiori produttori di semiconduttori che sono il cuore delle economie mondiali ma anche perché è il crocevia di accesso e controllo delle rotte marittime di fondamentale importanza per tutte le potenze. Non a caso, la Cina ha stretto un accordo di cooperazione in tema di sicurezza con le isole Salomone (1000 miglia dalle coste australiane ) e installato basi missilistiche in un atollo delle isole Sparkle davanti alla barriera corallina australiana. In risposta, per non perdere il controllo nell’Indo-Pacifico, Washington, ha avviato da tempo contatti con i Paesi alleati.

Ma neanche nel versante Occidentale va meglio perché se nello stretto di Taiwan si gioca il confronto Cina, USA e Russia, per l’Occidente e l’Oriente è altrettanto vitale il Mediterraneo che ha sbocchi con l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano. Per questo le Grandi Potenze hanno bisogno del controllo sia dello stretto di Taiwan sia dello stretto di Sicilia che sono i perni delle rotte oceaniche che legano Russia, Cina e America via Eurafrica. Tanto che nel seguire da mesi il via vai ininterrotto di navi da guerra russe e cinesi nel Mediterraneo, l’ipotesi più allarmante l’ha prospettata di recente Lucio Caracciolo: che un’Italia debole possa diventare nel nostro mare quello che Taiwan rappresenta nel Pacifico dove Cina e USA si combattono per il dominio delle rotte marittime. In questi mesi più volte navi militari russe sono penetrate attraverso lo stretto di Suez dirette, con la scusa del conflitto ucraino, verso il mare di Azov e alcune provocatoriamente si sono fermate più del dovuto davanti allo stretto di Messina mettendo in allerta le basi navali Nato. Tutte queste frizioni in terra e in mare stanno ostacolando i tentativi diplomatici degli USA di ricucire rapporti diplomatici con il mondo islamico moderato e attenuando il loro interesse nei confronti della questione europea. Non a caso l’altro mese Biden ha sottolineato “il suo particolare interesse a seguire gli sviluppi nei Paesi dell’America Latina” come a suggerire lo spostamento del focus dell’attenzione americana verso altre mete e l’invito agli europei a “ cominciare a provvedere in proprio”.

Per questo, in un contesto di sanguinosi conflitti e nella prospettiva di una recessione economica che non sappiamo come evolverà, occorre che le popolazioni allarghino la loro visione particolaristica all’orizzonte internazionale. Un monito soprattutto per l’area più debole, l’Europa, perché si impegni a trovare dirigenti adeguati, capaci di organizzare in tempi rapidissimi una politica estera e di difesa comune dato che il nostro mondo e la nostra civiltà rischiano di finire. Come ha detto Mario Draghi nel corso di un’intervista, “in questo momento critico l’Europa deve rapidamente reinventarsi e diventare Stato”.

*Political and socio-economic analyst

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