Fondazione Marisa Bellisario

LE IRANIANE E LA PIAZZA “GIUSTA”

“Il futuro passa anche da noi, dal coraggio di ribellarci e di far sentire la nostra voce. Nessun Paese è troppo lontano quando si nega la libertà di un essere umano e si usa la violenza come strumento di repressione”. Era l’11 febbraio 2023 ed ero davanti all’Ambasciata dell’Iran con tantissime amiche per far sentire la nostra voce per le donne iraniane. È trascorso quasi un anno e in questa Newsletter abbiamo ospitato tantissimi interventi e contributi perché non cadesse il silenzio sulle donne iraniane. Nl 2019 eravamo sempre lì, davanti a quell’ambasciata con un sit-in per chiedere la liberazione di Nasrin Sotoudeh, la nota avvocata iraniana per i diritti umani condannata a 33 anni di carcere per aver difeso le donne che protestavano contro l’obbligo di indossare il velo e perché lei stessa era apparsa in pubblico senza velo. Nasrin è un simbolo e nel 2021 ha lasciato temporaneamente la prigione per motivi medici, per tante altre iraniane sconosciute ai media non è andata altrettanto bene.

Ne parlo ancora una volta perché sabato scorso la teocrazia sciita ha mantenuto le promesse annunciate dalla guida suprema Ali Khamenei durante la preghiera della fine del Ramadan: «Colpiremo il nemico esterno e il nemico interno». Così, a poche ore dalla risposta missilistica a Israele, la teocrazia sciita ha dichiarato guerra alle sue figlie ribelli con l’operazione “Noor”: un’offensiva “definitiva” contro le “malvelate” che da quasi due anni sfidano l’intero impianto ideologico della Repubblica islamica. Per le strade di Teheran – ma anche Eshfan, Karaj, Qum, Saqqez – poliziotte vestite di nero sbucano da ogni vicolo, circondano le donne senza velo e, aiutate dai pasdaran, le trascinano sopra i blindati. Loro resistono, filmano, si disperdono e poi tornano in strada. E sui social raccontano delle retate sulla metropolitana o delle telecamere per il riconoscimento facciale delle studentesse montate nottetempo all’ingresso delle università. Mentre il mondo guarda con apprensione alla prossima mossa israeliana, loro sanno che la probabilità di morire nel carcere di Evin è superiore a quella di essere uccise da una bomba israeliana. E sui social e su Telegram, la piattaforma considerata più sicura, serpeggia la genuina speranza di un colpo di grazia al regime: «Abbiamo lo stesso nemico, mirate bene», si legge.

Le potenze occidentali e l’Islam moderato che studiano come scongiurare la grande guerra sembrano dimenticarsi di loro, che la combattono da dentro, da molto prima dell’uccisione di Masha Amini – Nasrin Sotoudeh è stata arrestata il 13 giugno 2018 per aver assunto la difesa di Shaparak Shajarizadeh e di altre donne che avevano protestato contro l’obbligo d’indossare lo hijab. Sono le donne ad aver messo a nudo quello che oggi è sotto gli occhi di tutti e sono loro il fronte più resistente e sfiancante di mille ordigni. Le alleate più preziose e insieme le vittime più facili da sacrificare sull’altare della sfida al popolo infedele.

E mentre loro lottano ogni giorno, instancabili ed eroiche, per combattere quell’integralismo che vuole esportarsi e mostrare i muscoli al mondo, noi che facciamo? Che fanno i nostri ragazzi nelle università italiane? Scendono in piazza contro il genocidio dei palestinesi e per interrompere i rapporti contro gli atenei israeliani. Sì hanno simpatizzato un po’ per il movimento “Donna, vita, Libertà”, hanno persino postato video per tagliarsi qualche ciocca di capelli ma poi la loro solidarietà, la loro rabbia, le occupazioni, lo scontro guarda altrove. Non ho sentito di appelli per interrompere i rapporti con gli atenei iraniani sospettati di ricerche tecnologiche “dual use” e al nostro stesso sit-in davanti all’ambasciata iraniana eravamo tutte donne e qualche iraniana della diaspora. Qual è il problema mi chiedo? Perché verrebbe da pensare che le donne iraniane sono brave e coraggiose ma non abbastanza anti-americane. Perché non “meritano” la solidarietà che riempie le piazze pro Palestina? Non sono sufficientemente vittime? Eppure non sono armate, la loro è una protesta pacifica e cadono come i civili di Gaza. Forse il regime iraniano è più “buono” della democrazia israeliana?

Perché allora sarebbe il caso di spiegarlo a questi ragazzi, sono gli ayatollah ad armare Hamas. E dall’altra parte ci sono popoli – i palestinesi ostaggio di Hamas, gli iraniani e le iraniane calpestati dal regime – vittime innocenti di un’interpretazione fondamentalista dell’Islam. È quel motore di odio – strumentale a calpestare la libertà in ogni suo senso – che va estirpato. È contro quel “mostro” che bisogna scendere in piazza, pacificamente e quotidianamente. Armati di nessuna ideologia che non sia la difesa della libertà contro i regimi liberticidi. Il tunnel di guerra e violenza in cui sembra precipitato il mondo sembra non finire mai ma le iraniane ci mostrano, lampante e inconfutabile, la strada da imboccare. Loro ci scommettono la vita, noi mettiamoci almeno una dose di buonsenso, meno ideologia e un po’ di memoria storica.

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1 commento su “LE IRANIANE E LA PIAZZA “GIUSTA””

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