di Anna Rita Germani*
Il nuovo anno ci pone di fronte a sfide importanti, tra cui la transizione climatica, la tecnologia e i cambiamenti nel mercato del lavoro, la crescita economica e l’inflazione, in un quadro di incertezza complessiva che non aiuta l’economia.
L’ultimo Report delle Nazioni Unite sulla Situazione Economica Mondiale e sulle Prospettive per il 2024 delinea un quadro macroeconomico globale difficile e incerto. L’economia mondiale continua ad affrontare molteplici crisi, mettendo a repentaglio il percorso verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Sebbene la crescita economica globale abbia superato le aspettative nel 2023, con diverse grandi economie che hanno mostrato una notevole resilienza, le attuali tensioni geopolitiche e i crescenti disastri climatici hanno aumentato i rischi e le vulnerabilità complessivi. Il Report prevede un rallentamento della crescita del PIL globale, dal 2,7% stimato nel 2023 al 2,4% nel 2024, evidenziando un trend di crescita lenta. In tale prospettiva economica globale, il 2024 arriva con tanto lavoro da portare avanti sia a livello nazionale che mondiale.
Il cambiamento climatico è forse la sfida più grande. Per decarbonizzare l’economia globale sappiamo che dobbiamo liberarci dai combustibili fossili, sviluppare alternative verdi e rafforzare le nostre difese contro i danni ambientali; tuttavia, ben poco di questo obiettivo è stato finora raggiunto attraverso la cooperazione globale o le politiche tradizionali preferite dagli economisti. I singoli paesi andranno avanti con le proprie agende verdi, come hanno già fatto gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea. Il risultato sarà un mix di limiti alle emissioni, incentivi fiscali, sostegno a politiche industriali verdi, che per quanto possa essere disordinato e con scarsa coerenza globale, potrebbe essere la cosa migliore che possiamo realisticamente sperare.
Nel mercato del lavoro, le disuguaglianze e i divari socioeconomici all’interno dei Paesi si stanno ampliando. In Italia, in particolare, il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre del 2023 ha raggiunto il 7,6%, senza considerare che siamo l’ultima nazione in Europa per tasso di occupazione femminile. Il welfare state può aiutare, ma ciò che è più necessario è un aumento dell’offerta di buoni posti di lavoro per i lavoratori meno istruiti che non vi hanno più accesso. Abbiamo bisogno di opportunità di lavoro più produttive e ben retribuite che possano fornire dignità e riconoscimento sociale. Importanti economisti come Dani Rodrik, Daron Acemoglu e Charles Shabel si sono interessati al tema dei cosiddetti good jobs sostenendo che, per avere delle società più etiche e più eque, il lavoro da solo non basta: serve un buon lavoro, che sia ben retribuito, stabile, tutelato, e bilanciato con la vita privata. L’espansione dell’offerta di tali posti di lavoro richiederà non solo maggiori investimenti nell’istruzione ma anche un nuovo tipo di politiche industriali per i servizi, dove verrà creata la maggior parte dell’occupazione futura.
Un ulteriore fattore di criticità rimane l’inflazione. La Federal Reserve ha prospettato tagli progressivi (fino a 75 punti base) ai tassi di interesse nel 2024, ma in Europa, dove la guerra in Ucraina ha avuto un impatto più grave sul mercato energetico, la Banca Centrale Europea sta respingendo la scommessa dei mercati finanziari su tali tagli. La dinamica dell’inflazione nel 2024 avrà importanti implicazioni per l’economia globale, poiché influenzerà i tassi di cambio, i tassi di interesse, i prezzi delle attività finanziarie, la distribuzione del reddito e la sostenibilità del debito.
E poi, vi è l’incertezza politica che, con le elezioni presidenziali statunitensi a novembre 2024, rischia di avere conseguenze imprevedibili sugli scambi commerciali e sugli assetti di geopolitica mondiale. Il rischio della crisi nella fiducia reciproca mondiale è proprio il filo conduttore del 54° World Economic Forum che si sta svolgendo in questi giorni (dal 15 al 20 gennaio) a Davos, il cui obiettivo, non a caso, è quello di ricostruire la fiducia tra paesi (“Rebuilding Trust”). Fiducia che per essere ricostruita richiede un ripensamento dell’attuale modello di globalizzazione basato sulla competizione strategica tra Paesi verso un modello fondato sulla cooperazione (come common good) globale.
*Professoressa Sapienza Università di Roma