Intervista a Olympia Pignocchi, Architetta
A cura di Elena Bozzo*
La struttura delle città, l’accesso in sicurezza ai loro spazi pubblici, ai luoghi di lavoro e a quelli di svago è ancora fonte di forte disparità tra donne e uomini. Del tema si parla da tempo e studi come il rapporto URBACT Gender Equal Cities, pubblicato nel 2019, mettono in evidenza l’urgente necessità di lavorare alla creazione di città più inclusive partendo proprio da uno sviluppo urbano integrato che abbracci diversi aspetti: rappresentazione e partecipazione, governance, servizi pubblici e non solo.
Quanto sono lontane città simili da quelle in cui siamo abituati a vivere? Apparentemente molto. Varie indagini confermano una percezione completamente diversa della città tra donne e uomini, guidata in primo luogo dal fattore sicurezza. Una recente indagine ISTAT spiega infatti che le donne si sentono generalmente più insicure degli uomini nei contesti urbani: variano i percorsi quotidiani, i luoghi che attraversano e l’orario di molte attività, e ciò impatta negativamente sulla loro esperienza di vita complessiva.
La necessità di adattare gli spazi urbani per risolvere questa problematica e renderli così funzionali ai bisogni di tutti è stata recentemente affrontata da un reportage pubblicato in Paraguay su El Surtidor, che ha preso spunto dal lavoro di architette, giornaliste e mediatrici culturali per provare a disegnare una città che si avvicini un po’ di più ad “una democrazia che non escluda nessuno”.
Quanto influisce sull’inclusività la pianificazione degli spazi?
Molto, ma ancor prima dello spazio pianificato, credo che l’inclusività sia determinata dalla coscienza civica – urbanitas – delle persone. In tale ottica, la pianificazione dello spazio si pone come mera tékhne necessaria a favorire l’inclusività ma, da sola, non sufficiente a realizzarla.
Quale ruolo possono avere le città nel ridurre le diseguaglianze socioeconomiche di genere?
Il contributo sarebbe sostanziale se nel contesto urbano si riuscisse a realizzare un sistema diffuso di servizi di supporto genitoriale – asili, aree gioco, punti igienico-sanitari, punti nursering – che coprisse il più ampio arco temporale possibile e in cui la sicurezza fosse assicurata anche mediante un mutual monitoring tra cittadini. Una forte connessione degli spazi privati con spazi pubblici destinati ad attività urbane differenziate eviterebbe fenomeni di abbandono, desolazione e degrado. Condizioni che, congiuntamente al frequente deficit di illuminazione artificiale urbana, formano l’habitat d’elezione del pericolo sociale.
Per quanto riguarda gli aspetti della rappresentazione delle donne nel contesto urbano, quanto sarebbe utile l’intitolazione di strade o piazze o la realizzazione di statue dedicate ai personaggi femminili?
Penso che ciò sia auspicabile, ma più che un mezzo per promuovere una maggiore presenza delle donne nella toponomastica delle città, ritengo possa, e debba, essere il manifesto compiuto e tangibile dell’avvenuto conseguimento di una concreta parità tra i generi.
*PR e Media Relations Specialist, Banca Widiba
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