di Maria Stella Gelmini*
L’accesso delle donne alle istituzioni e la loro partecipazione ai processi decisionali politici è un tema strategico per il presente e il futuro del nostro Paese. Sono davvero lieta di scriverne anche come diretta interessata, oltreché come Ministro degli affari regionali.
Ed è anche un importante sintomo del grado di sviluppo della collettività: la piena partecipazione delle donne alle istituzioni si realizza generalmente in quei contesti dove l’istruzione, la conciliazione vita-lavoro e l’abbattimento degli stereotipi di genere sono già avanzati. È anche vero, d’altro canto, che l’equilibrio di genere nella rappresentanza istituzionale attiva una logica virtuosa che imprime una ulteriore accelerazione alla creazione di una società più sensibile, inclusiva e aperta.
Perseguire il riequilibrio di genere nelle istituzioni non è solo una misura concreta a beneficio delle donne, ma ha una valenza sistemica, complessiva, a beneficio di ognuno di noi. Una maggior inclusione e una maggior eterogeneità sono essenziali per promuovere idee nuove, per portare a sintesi sensibilità ed esperienze diverse, per elaborare strategie innovative in grado di rispondere meglio a una società dinamica, plurale e complessa come la nostra.
Sul punto, vi invito a scorrere le belle pagine dell’European Institute for Gender Equality. Il rapporto evidenzia i risultati positivi attesi, là dove si implementassero politiche attive d’inclusione delle donne: da qui al 2050, circa 11 milioni di posti di lavoro in più in Europa e un aumento del PIL a livello UE compreso fra il 6 e il 9% circa. Esso inoltre mostra come un maggior numero di donne in politica in molti Paesi ha portato al grande sviluppo delle politiche dell’istruzione, del welfare, all’incremento della natalità e al contrasto alla corruzione.
È proprio sull’onda di lunga di tale “doppia” consapevolezza che si muovono le organizzazioni internazionali, l’Unione europea, gli Stati, ma anche i livelli di governo sub-statali, come le Regioni e gli enti locali.
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU, che delinea il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, contempla espressamente all’obiettivo 5 le misure per la parità di genere, e impegna fra l’altro gli Stati e le loro articolazioni interne a “garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”.
Altrettanta importanza all’accesso delle donne ai processi decisionali e alle istituzioni è riconosciuta dalla Commissione Ue nella comunicazione relativa alla strategia per la parità di genere 2020-2025. Ciò in quanto la parità di genere è un valore cardine dell’Unione europea, un diritto fondamentale e un principio chiave del pilastro europeo dei diritti sociali.
Infine, per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, che la pandemia ha contribuito ad evidenziare, il Governo italiano ha annunciato nel PNRR l’adozione di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Sono certa che la questione politica che oggi è sul tavolo si definirà presto, secondo i moduli della leale collaborazione, del dialogo e della sintesi politica.
*Ministro degli affari regionali
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