Fondazione Marisa Bellisario

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E MEDICINA: RISCHI E OPPORTUNITÀ

di Elena Bottinelli*

L’impiego dell’intelligenza artificiale (AI) si sta sempre più affermando in ambito clinico. Secondo le previsioni di Global Market Insight, la crescita annua al 2025 del mercato dell’AI è stimata in oltre il 41% con un trend positivo nel solo settore dell’imaging medico pari al 30% annuo. Fra gli ambiti di forte sviluppo certo c’è la diagnostica predittiva in cui l’AI aiuterà sempre più in futuro i medici a effettuare diagnosi più precise riducendo la percentuale di errore e la medicina personalizzata che si basa sul riconoscimento della rilevanza delle variabilità individuali nella predizione prognostica e della risposta terapeutica.

La ricerca di parametri descrittivi in grado di predire al meglio le caratteristiche di una data malattia in un dato paziente, ha come conseguenza l’aumento impetuoso di dati, in gran parte acquisiti o immagazzinati in formato digitale. Basti pensare che, a livello globale, i dati sanitari mostrano il più alto tasso di crescita annuo (36%), rispetto ad altri ambiti delle attività umane come quello finanziario, industriale, o dei media e dell’intrattenimento. L’utilizzo di questa enorme mole di dati per personalizzare la cura del singolo paziente richiede tecniche di analisi sempre più sofisticate e l’intelligenza artificiale (AI) può rappresentare la risposta a questa esigenza.

Tra i possibili benefici per la salute che le nuove tecnologie possono produrre ci sono tanti rischi in agguato. In particolare un tema rilevante è quello della discriminazione di genere, il cosiddetto “gender bias” che dipende da tre differenti fattori: la dimensione dei data set utilizzati per addestrare il modello, il disegno del modello in sé, e la struttura del team multidisciplinare coinvolto nella progettazione e sviluppo che deve garantire una prospettiva diversificata.

È importante evidenziare come alcuni bias debbano essere preservati per garantire le differenze di genere nella predittività del rischio di alcune malattie (es. neurologiche, cardiovascolari, oncologiche e immunologiche), ma altri debbano essere assolutamente ridotti e/o evitati per ottenere una performance soddisfacente del modello.

Considerando l’impossibilità di raggiungere modelli perfettamente equi (gender fairness), è importante che sia equa la decisione finale, basata sull’utilizzo collaborativo dell’algoritmo da parte del medico a cui spetta l’assunzione consapevole di responsabilità.

Dal punto di vista del gender gap di professionalità, nel 2020 il World Economic Forum rilevava che i posti di lavoro occupati da donne nel settore dati e AI erano il 26%. La questione è stata affrontata anche dall’Unesco nel report del 2020 «Artificial intelligence and gender equality», dove si legge: «Gli algoritmi e i sistemi di intelligenza artificiale hanno il potere di diffondere e rafforzare stereotipi e pregiudizi di genere, che rischiano di emarginare le donne su scala globale. Considerando la crescente presenza dell’AI nelle nostre società, questo potrebbe mettere le donne nella condizione di rimanere indietro nella sfera economica, politica e sociale».
Come si possono cambiare le cose? Secondo l’Unesco con un’azione che promuova l’uguaglianza di genere attraverso l’istruzione, la cultura e l’informazione.

In Italia è evidente la mancanza di figure che possano essere impiegate per lo sviluppo di modelli di AI predittivi in medicina, ma stanno nascendo opportunità di nuovi corsi elettivi, corsi di laurea triennali e magistrali dedicati, che possono e devono essere un’opportunità per le donne di superare il gender gap digitale (es. il nuovo corso di laurea magistrale in health informatics dell’Università Vita e Salute del San Raffaele).

Un altro punto sul quale occorre intervenire è la scarsità di esempi di leadership femminile nel settore AI. Questo elemento emerge con forza nel report 2021 «Women in AI» di Deloitte dove a parlare della propria esperienza sono alcune donne di successo nel mondo dell’AI, dimostrando che gli esempi ci sono e che basta solo avere voglia di cercarli e raccontarli. E questo è compito dell’informazione, che dovrà giocare un ruolo fondamentale nel necessario cambio di paradigma culturale.

*Amministratore Delegato Gruppo San Donato

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