Fondazione Marisa Bellisario

IL VOCABOLARIO TRECCANI E LA REAZIONE DI LIBERO

Perché intervenire sulla lingua significa incidere sulla parità

di Marzia Camarda*

Nell’ormai tristemente noto articolo pubblicato pochi giorni fa da Libero quotidiano («È arrivato la “Treccagne”, dizionario femminista») si svilisce l’eccellente lavoro svolto dell’Istituto Italiano di cultura Treccani, che ha pubblicato un vocabolario che, per la prima volta, ospita tutti i maschili e i femminili delle parole: amica,-o, per esempio, e così via anche per tutte le professioni, ecc.

Le obiezioni di Libero tuttavia vanno essere analizzate nel merito, perché la battaglia per un linguaggio equo è una battaglia di civiltà ed è necessario smontare una volta per tutte e nel merito le manipolazioni linguistiche.

Partiamo dal titolo: Treccagne è chiaramente insultante (ed è per questo che è stato così concepito), ma bisognerebbe riflettere appunto sul perché il maschile (cane) sia percepito come neutro o tutt’al più nobile, fedele, simpatico e il femminile invece (cagna) sia un insulto (se ci si fa caso, vale per parecchi femminili di animali: maiale/scrofa, toro/vacca, gallo/ gallina, tanto per citarne alcuni: il femminile è sempre peggiorativo e viene usato spesso per insultare le donne). Questo doppio criterio, dispregiativo per le donne, è ciò che cerca di correggere il vocabolario Treccani ed è appunto ciò contro cui Libero si scaglia, trasformando una scelta lessicografica di giustizia in una battaglia politica («teologia marxista», «boldrinese» e altre espressioni altrettanto amene).

Ma l’attacco pretestuoso arriva ben oltre: viene contestato il fatto che i nomi non vengano più lemmatizzati partendo dalla forma maschile («come da ultrasecolare prassi») e che quindi per esempio il lemma amica venga prima di amico: sono così abituati a immaginare che gerarchicamente prima debba venire l’uomo che non gli viene in mente che l’ordine alfabetico italiano preveda la A prima della O (quindi giustamente amica, amico).

Quindi le regole dell’italiano valgono, ma solo quando si adattano a ciò che gli è comodo: e in nome di un rispetto delle regole che non è linguistico, ma legato a come desiderano che il mondo aderisca ai loro pregiudizi, contestano le regole della lingua italiana dicendo che vengono pervertite, che le professioni al femminile sono brutte, scorrette, indicano «sprezzo della cacofonia» per esempio indicando architetta, come se invece terpene o anche solo spinterogeno fossero belli da dire ed esistesse un criterio estetico universale a cui fare riferimento.

Non contenti, non solo sanzionano il femminile di alcune professioni (non tutte: infermiera va benissimo, ingegnera invece no), ma sviliscono gli uomini che si “abbassano” a svolgere la professione di casalingo o ricamatore. Dimenticando peraltro che la realtà li smentisce nel quotidiano e che per esempio nel mondo il 70% dei contadini è donna e che esistono anche i mondini e non solo le mondine, che nel loro immaginario sono tutte donne.

Il triste paradosso è che la maggioranza della popolazione (le donne sono il 51% della popolazione) viene trattata come una minoranza: e per poter mantenere l’egemonia ideologica maschilista è necessario rivestirla di parole che quotidianamente, nel nostro linguaggio di tutti i giorni, celebrino la supremazia maschile e ritengano scandaloso che le donne “osino” diventare avvocate, ingegnere o chissà cos’altro, dove andremo a finire signori miei.

Per inciso osserviamo che Libero quotidiano è la terza testata per ricezione di contenuti pubblici e come tale dovrebbe rappresentare anche quella metà della popolazione che invece si ostina a discriminare.

Se la libertà di stampa è sacrosanta, altrettanto non può dirsi del sessismo e dell’incitamento all’odio, di cui Libero continua impunemente a dare prova cercando di proteggere un’ideologia gravemente lesiva della democrazia.

Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?

*Founder e Presidente Sidera

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