di Floriana Cerniglia*
A partire dagli anni Settanta – e per tutto un trentennio – l’accademia e le autorità di politica economica hanno aderito al paradigma economico del Nuovo Consenso che, postulando l’efficienza dei mercati, attribuiva un ruolo molto limitato alla politica di bilancio in quanto meno “tecnocratica” della politica monetaria e pertanto più soggetta a distorsioni legate al ciclo politico: la spesa pubblica tende ad aumentare in prossimità delle elezioni. In sostanza, secondo questo approccio di teoria economica, la crescita economica è trainata in prevalenza dal mercato. Il compito principale dello Stato è tenere i conti in ordine e fare le riforme (ad esempio nel mercato del lavoro, in materia di concorrenza) per aiutare la crescita spinta dai mercati. Vittima sacrificale di questo approccio è stato l’investimento pubblico. Per tutte le maggiori economie dell’OCSE, dagli anni Ottanta in poi, il peso dell’investimento pubblico sulla spesa pubblica si è ridotto in maniera significativa, in particolare dopo la crisi finanziaria del 2008-2009.
Il Nuovo Consenso è anche lo sfondo che fa da riferimento al disegno del Trattato di Maastricht e al Patto di stabilità e crescita che ha come obiettivi principali: limitare la politica di bilancio ai soli stabilizzatori automatici, un disavanzo strutturale (cioè, quello indipendente dal ciclo economico) pari a zero e la riduzione del debito pubblico. I due giganti manifatturieri dell’economia europea, la Germania e l’Italia sono stati i fanalini di coda per quel che riguarda l’investimento pubblico. In Italia il calo è stato molto marcato: tra il 2009 e il 2018 gli investimenti pubblici sono passati dal 3,7% al 2,1% del Pil con una riduzione di circa 200 miliardi rispetto al volume che si sarebbe registrato mantenendo la tendenza di crescita del decennio precedente.
L’ortodossia del Nuovo Consenso domina la politica economica e l’accademia fino alla crisi del 2008 ma la crisi finanziaria globale inizia a provocare un processo di ripensamento che ha rispostato il pendolo tra mercato e Stato verso lo Stato. Soprattutto negli Stati Uniti, già nel 2009, la politica di bilancio si è indirizzata verso un aumento della spesa pubblica e degli investimenti per andare in soccorso di un’economia che non sembrava risollevarsi da sola. Invece, nell’Unione europea gli Stati membri difensori delle politiche di austerità hanno avuto la meglio con conseguenze negative sulla crescita europea; è aumentato il gap tra i tassi di crescita dei Paesi europei e degli Stati Uniti dato che gli investimenti pubblici sono uno strumento di sostegno alla crescita nel breve e nel lungo periodo e sono un fattore essenziale per migliorare le condizioni in cui operano le imprese private migliorando così la produttività e la crescita potenziale.
A un certo punto, anche nell’Unione europea, fa capolino un cambiamento di visione in merito all’intervento pubblico in un’economia di mercato. L’approvazione di NextGenerationEU (NGEU, 850 miliardi di risorse a prezzi correnti messi a disposizione degli Stati membri per fare investimenti entro il 2026), segna uno spartiacque nella storia dell’integrazione europea. Gli eurobond non sono più tabù. Per la prima volta nella storia della UE, si prevede che la Commissione europea può indebitarsi sui mercati; questo debito pubblico europeo serve per finanziare investimenti pubblici su grandi obiettivi, ad esempio la transizione digitale e la transizione green.
Gli investimenti destinati all’Italia con il PNRR sono 194,4 miliardi, a cui si aggiungono le risorse – pari a 30,6 miliardi – del Piano complementare. Un ammontare all’incirca a quanto perso tra il 2009 e il 2018. Finora sono entrati nelle casse dello Stato (dalla rata di prefinanziamento e dalle quattro rate) 102 miliardi anche se non tutte queste risorse sono state effettivamente spese visto che la realizzazione di alcuni progetti sta procedendo lentamente. Dalle prossime sei rate (ultima nel giugno 2026) dovrebbero arrivare altri 92,1 miliardi ma che sono condizionati al raggiungimento di 461 obiettivi e traguardi. È molto importante che il PNRR abbia successo perché ne dipende la crescita economica dell’Italia dei prossimi anni. Il nostro Paese è uno dei principali destinatari delle risorse da NGEU. Il successo di NGEU potrebbe anche essere una buona spinta per i Paesi europei per il raggiungimento di obiettivi comuni.
*Professoressa Università Cattolica del Sacro Cuore
https://www.youtube.com/watch?v=Vy_V55FLTMk&ab_channel=TAMERBADERELDIN