Fondazione Marisa Bellisario

IL PIÙ BEL MESTIERE DEL MONDO

di Mariangela Petruzzelli*

Intervista a Esma Cakir, giornalista e Presidente dell’Associazione Stampa Estera in Italia

Come mai ha deciso di diventare giornalista?

La nostra infanzia è una guida importante nella scelta della professione futura. Nel quartiere a Istanbul dove sono cresciuta, ero l’unica bambina a voler scoprire tutto, analizzare e raccontare agli altri e poi ascoltare le storie. A un certo punto, ero diventata una fonte molto affidabile per i miei amici che volevano sapere cosa succedesse intorno a loro. Poi ho studiato fotografia all’università. Dovevo scegliere un campo per poter fare lo stage obbligatorio, ma ero in difficoltà. Una notte sognai me stessa con la macchina fotografica al collo che intervistavo un criminale facendo uno scoop. La mattina dopo mi svegliai molto contenta e sollevata di essere stata aiutata dal mio sogno e scelsi il mio mestiere.

La sua esperienza come Presidente della Stampa Estera in Italia è stata finora positiva? C’è un tema in particolare che ha sensibilizzato il suo operato e quello dei suoi colleghi giornalisti in questi anni?

Rappresentare questa bellissima e prestigiosa realtà mi emoziona e allo stesso tempo mi rende molto orgogliosa. L’Associazione della Stampa Estera in Italia esiste da 112 anni, aderiscono più di 400 giornalisti professionisti e pubblicisti suddivisi tra le sedi di Roma e Milano, in rappresentanza di circa 55 Paesi. Io sono la quarta donna al vertice, il primo presidente di origine turca. Quello dei corrispondenti esteri in Italia è un microcosmo di etnie e idee politiche differenti ma siamo accomunati da un grande senso di responsabilità e la lunga conoscenza personale ci fa anche diventare amici. Esserne alla guida significa da una parte ripagare la fiducia riposta in me, dall’altra rappresentare l’intera associazione nei tantissimi eventi che organizziamo e negli appuntamenti istituzionali presenti in agenda. Con gli eventi e le conferenze stampa che ho coordinato o organizzato ho cercato di mantenere sempre la linea di fare buon giornalismo  al contempo essere utile per i colleghi e le colleghe fornendo un’ampia scelta dei temi. Siamo in un periodo molto difficile per il giornalismo da tanti punti di vista e spero che il mio approccio solidale venga apprezzato.

Cosa ne pensa del valore delle pari opportunità in Italia e a che punto si è nel suo Paese d’origine, la Turchia?

Trovo triste discutere ancora su questo tema, ancor di più verificare quando sia ancora necessario promuovere le pari opportunità nei nostri Paesi, tra l’altro spesso all’avanguardia nel confronto con altri Paesi! Forse è ambizioso, ma sogno un mondo in cui pari opportunità e pari dignità sociale possano affermarsi sin dalla nascita in ogni angolo del mondo.

Tornando alla realtà, sia in Italia sia Turchia, ci sono ancora molte questioni da risolvere. Entrambi i Paesi hanno scritto leggi per garantire le pari opportunità ma sul campo spesso non si applicano, soprattutto in determinati settori. Faccio un esempio semplice con le parole dell’atleta Sofia Raffaeli, vincitrice di 4 Ori ai Campionati del mondo: «Se fosse un ragazzo che gioca a calcio il mondo sarebbe ai suoi piedi. E i giornali e i media non parlerebbero d’altro. Invece se è una ragazza che fa ginnastica ritmica, a un livello stratosferico, cambiano percezione parlandone poco». Mi dispiace perché invece di ambire a raggiungere il massimo livello di parità in ogni settore, continuiamo a discutere su come risolvere le disparità.

Conosce la Fondazione Bellisario e che ne pensa della figura di Marisa Bellisario?

Ho scoperto la sua storia nel marzo del 2010 leggendo un articolo sulla Giornata internazionale dei diritti delle donne. Mi ha colpito molto perché, nonostante i successi e i traguardi collezionati durante la sua carriera, Marisa Bellisario ha incontrato non poche difficoltà semplicemente perché donna. Ancora oggi, nel 2024, sento usare espressioni come “una donna con le palle” o “una partita maschia”. Si vede che c’é ancora molto da fare pensando che Marisa Bellisario fu definita ironicamente “la signora con i baffi” per le sue doti manageriali. Se noi donne abbiamo avuto una strada più agevole nei nostri percorsi di carriera, il merito è di donne meravigliose come Marisa che hanno lottato e incontrato ostacoli spesso quasi insormontabili, superandoli-.

In Turchia è nata la convenzione di Istanbul a che punto siamo da allora? Quale a suo avviso il ruolo del giornalismo nel divulgare i temi della convenzione e della violenza contro le donne?

È stato scioccante apprendere la decisione del ritiro della Turchia dalla convenzione che prende il nome proprio dalla più grande città del Paese. Le motivazioni addotte dalle autorità turche sono state che la convenzione è una minaccia ai “valori della famiglia” e “normalizza l’omosessualità”. Secondo il governo di Erdogan, saranno le leggi nazionali, e non gli accordi internazionali, a proteggere i diritti delle donne. Insomma, nel mio Paese su questo aspetto si sta tornando indietro invece che progredire. Al di là della violenza di genere e del femminicidio – con livelli simili rispetto all’Italia – in Turchia c’è molta preoccupazione anche per la comunità LGBTQ+. Per dare un semplice esempio: dal 2015 non viene permesso di fare il Gay Pride a Istanbul.

Quanto al ruolo del giornalismo in questa battaglia, dobbiamo utilizzare un linguaggio rispettoso, corretto, privo di stereotipi di genere, pregiudizi e giudizi nel raccontare episodi di violenza, molestie, discriminazioni, femminicidio. Abbiamo un’enorme responsabilità. Ho apprezzato molto il protocollo approvato alla Fnsi in questa direzione. Si mette in chiaro che la narrazione giornalistica della violenza sulle donne dovrà evitare giudizi e stereotipi di genere, immagini ed espressioni lesive della dignità della persona. Sono banditi giudizi o pregiudizi che esulano dai fatti, stereotipi di genere, termini offensivi e tutto ciò che rischia di creare una vittimizzazione secondaria. Sono contenta che queste ‘raccomandazioni’ siano diventate un dovere della deontologia giornalistica in Italia.

Cosa pensa del mondo in guerra oggi e della posizione presa in entrambi i fronti caldi dalla Turchia?

Noi professionisti della comunicazione abbiamo la responsabilità enorme nel raccontare la verità soprattutto nei momenti complessi come quello di adesso. Al di là della libertà di stampa e di espressione, dobbiamo impegnarci affinché il buon giornalismo e la professionalità prevalgano e non siano strumento per i giochi di potere. Quanto alla Turchia, è difficile spiegare la sua posizione in qualche frase. È un Paese in una complessa zona geopolitica e questa è una delle ragioni per cui cerca di mantenere una linea da equilibrista per il caso Ucraina. Mentre per il fronte Israele e Palestina è un po’ diverso. L’attacco di Hamas del 7 ottobre e la guerra che ne è derivata hanno messo la Turchia in una posizione molto scomoda. Da un lato, gli interessi in gioco sono consistenti e l’intesa con Israele si è rivelata vantaggiosa in scacchieri solo apparentemente privi di collegamento. Dall’altro, Erdogan non può ignorare il peso della piazza e dell’opinione pubblica, che in tutto il mondo musulmano si è schierata con decisione a favore dei palestinesi. Erdogan non ha mai rinunciato al sogno di essere ricordato come principale costruttore dell’Islam politico, facendo della Turchia il Paese guida dell’universo musulmano. Ma sembra che l’Iran abbia messo all’angolo la Turchia in questo scacchiere.

Cosa consiglia a una giovane che intende diventare giornalista internazionale?

Uno dei miei scrittori preferiti, Gabriel García Márquez, soggiornò a Roma nel 1955 per qualche mese quando era corrispondente del suo giornale colombiano e amava dire che il giornalismo era una passione insaziabile, il miglior mestiere del mondo, e quando è ben fatto può essere davvero un’opera d’arte. Da quando ho cominciato a fare la giornalista – 23 anni, 15 anni da corrispondente estero – ho sempre lavorato con questo spirito. Tuttavia mi sembra che questa passione sia in forte flessione e spesso mi capita di sentir dire ai giovani di volere fare l’influencer piuttosto che il giornalista: si guadagna di più e si ha più visibilità. Mi amareggia dirlo, ma forse hanno ragione! Noi giornalisti, soprattutto corrispondenti esteri, veniamo pagati sempre meno e vengono richiesti meno servizi perché ormai si reputa di poter trovare informazioni e immagini sui social. Ma è un approccio totalmente sbagliato! Le informazioni che provengono dai social sono difficilmente verificabili, l’unica fonte corretta e veritiera è quella giornalistica. Per questo motivo, con l’Associazione della Stampa Estera in Italia cerchiamo di essere da esempio, in piccola parte, per le nuove generazioni di giornaliste, facendo capire come credere in sè stesse e portare avanti le proprie idee e i propri sogni sia fondamentale. Come Presidente dell’Associazione, mi auguro di contribuire a diffondere il valore del buon giornalismo professionale e universale senza nessun vincolo o pregiudizio. Per me il giornalismo rimane sempre il mestiere più bello del mondo e consiglio vivamente ai giovani, e alle donne, che ne hanno la passione di percorrerla fino in fondo.

*Giornalista

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