Fondazione Marisa Bellisario

I PASSI DI MOSCA

di Ornella Del Guasto*

Russia e Cina sperano di raccogliere i frutti dal caos mediorientale. A questo proposito negli ultimi mesi è interessante seguire il vivace impegno diplomatico di Vladimir Putin che nel corso del conflitto ha voltato le spalle al tradizionale amico Israele a favore dell’Iran e soprattutto il suo attivismo in Africa – solo da poco tempo attenzionato dagli osservatori – dove è riuscito a far cadere l’ultimo baluardo dell’Occidente nel Sahel, il Niger, facendo scattare l’allarme rosso in più cancellerie.

Dopo il colpo di Stato del 2023, frutto della crisi politica ed economica che attanagliava da parecchio tempo il Paese, il nuovo regime golpista che si è insediato a Niamey ha dato il benservito alla Francia costretta lo scorso mese ad annunciare la fine della sua missione diplomatica. L’uscita francese dal Niger ha però confermato, dopo il Mali e il Burkina Faso, la fine del modello antiterrorismo nel Sahel, aprendo la strada a un incerto tête-à-tête tra regimi militari e gruppi jihadisti.

La giunta golpista del Niger, infatti, ha descritto come l’inizio di “una nuova era per i nigerini” l’interruzione delle relazioni militari con la Francia (erano circa 1.500 i militari francesi che addestravano l’esercito del Niger) e altri Paesi sostituite dalla cooperazione militare con la Russia, rappresentata dal gruppo mercenario privato paramilitare russo Wagner che da tempo già nel vicino Mali è diventato il relais delle operazioni e delle comunicazioni dei gruppi jihadisti. La compagnia di mercenari russa è ancora in fase di riorganizzazione dopo l’ammutinamento e la scomparsa del suo leader Yevgeny Prigozhin alla fine di agosto ma la Russia mantiene intatta nella regione africana la sua influenza attraverso l’Africa Corps (ex Wagner Group), di fatto un’organizzazione centralizzata che sta portando a Mosca il controllo delle attività africane.

Ma c’è per l’Occidente un altro aspetto di grande preoccupazione: viene di fatto messo alla porta l’EUCAP (European Union Capacity Building Mission Sahel) missione civile di 120 persone presente nel Paese (dovrà lasciare il Niger entro i prossimi sei mesi), istituita nel 2015 in collaborazione con l’Unione Europea sul controllo delle frontiere con una legge che criminalizzava il traffico dei migranti. L’UE aveva adottato provvedimenti per assistere e sostenere le autorità nigerine, sia del governo centrale sia locali, nello sviluppo di politiche, tecniche e procedure utili a combattere il traffico dell’immigrazione clandestina e dare sostegno al governo nigerino per prevenire i flussi irregolari e la criminalità connessa. Con la liquidazione di EUCAP, ora il Niger cerca di coordinarsi al meglio con i Paesi Brics che, anno dopo anno, stanno aumentando di numero, per rimpiazzare nel futuro prossimo gli scambi commerciali in dollari con le monete locali. La preoccupazione occidentale è ampiamente giustificata dal fatto che pochi giorni prima dell’arrivo a Niamey della delegazione moscovita, le autorità nigerine hanno abrogato la legge che regolava l’emigrazione. Scelte che forniscono all’alleata Mosca una formidabile arma di controllo per orchestrare in base all’occorrenza i flussi dei disperati che spinti dalla miseria cercano di raggiungere il Nord del mondo e l’Europa. Vladimir Putin quindi con la sua influenza in Niger e complessivamente nel Sahel avrebbe acquisito il controllo delle rotte dell’emigrazione verso il Mediterraneo e un indiscusso strumento di pressione sull’Europa condizionando così gli equilibri politici e sociali dell’Unione.

Per questo molti osservatori che hanno deprecato la relativa superficialità con cui l’Occidente ha prestato attenzione al recente vertice dei Brics (Brasile , Russia , India , Cina , Sudafrica, a cui in questi ultimi tormentati mesi si sono aggiunti Arabia Saudita, Emirati, Iran, Etiopia ed Egitto che compatti puntano scopertamente a scalzare le storiche leadership mondiali), considerano preveggente il vertice Italia–Africa sul “Piano Mattei” che si è svolto il 29 gennaio a Roma e che prova a realizzare una visione di amalgama con i Paesi africani. Al summit organizzato dall’Italia, hanno partecipato le grandi istituzioni mondiali (dall’Onu al Fmi ), i massimi vertici europei e i rappresentanti di 46 Stati Africani tranne il Niger e i Paesi del Sahel a dimostrazione dell’onda lunga di Mosca. La visione di Mattei nel guardare al Sud era quella di trasformare le difficoltà in opportunità per questo il Piano è stato incentrato su una “piattaforma programmatica condivisa al di fuori di ogni impostazione predatoria o caritatevole, che aiuti il continente africano a crescere grazie alle sue immense risorse”. Tra UE e Africa gli interventi strategici saranno coordinati su 5 priorità: Energia, Flussi migratori, Tecnologia per l’agricoltura (e quindi cibo e bonifica del sistema dell’acqua), Sanità e prevenzione in particolare in caso di epidemie e disastri naturali, Istruzione adeguata attraverso la riqualificazione delle scuole per costruire ponti, ferrovie, strade, scuole ospedali…. Il Piano Mattei è stato accolto favorevolmente da Bruxelles “che al momento lo vede speculare al piano Global Gateway tra UE e Paesi africani che sta già avanzando con progetti ambiziosi di partenariato” e per questo ha spedito a Roma la presidente della commissione Ursula von der Leyen a dare sostegno al progetto. Per quanto riguarda le risorse finanziarie, nel corso dei lavori è stato individuato un Fondo multilaterale da istituire presso la Banca Africana di Sviluppo i cui soci fondatori sono Italia e Emirati arabi uniti che all’inizio sottoscriveranno 100 milioni di euro ciascuno ma a cui sono pronti già a contribuire Arabia Saudita, altri paesi arabi e i paesi europei tra cui Germania e Francia .

Le preoccupazioni europee però non si fermano all’Africa. Vero o no che sia, il 15 gennaio il popolare e molto informato quotidiano tedesco Bild ha rivelato un “documento segreto” (Classified For Official Use Only) del Ministero della Difesa della Germania che delinea nel dettaglio un possibile “percorso verso il conflitto” tra la Russia e la Nato. “Mese per mese e con una precisa localizzazione, vengono descritte le azioni russe e occidentali che culmineranno nell’imminente scoppio della guerra nell’estate del 2025”. Anche se il portavoce del Ministero ha cercato di ammorbidire l’indiscrezione dichiarando a Bild che si tratta di “uno scenario tra i diversi scenari, anche estremamente improbabili, che vengono ipotizzati dall’attività militare quotidiana, soprattutto nell’addestramento”. Secondo il documento, l’obiettivo del Cremlino è conquistare il “Corridoio di Suwalki”, lo stretto passaggio terrestre polacco-lituano tra la Bielorussia e Kaliningrad. “Conflitto Nato-Russia? Bild scrive solo bufale” ha reagito prontamente Dimitri Peskov portavoce de Cremlino. Ma intanto il ministero della Difesa tedesco non ha smentito le rivelazioni di Bild anzi il ministro Boris Pistorius le ha confermate così come diversi governi e comandi militari dell’Europa del Nord che si sono detti piuttosto pessimisti. D’accordo anche il quotidiano inglese Financial Times secondo cui la Russia potrebbe pianificare una grande offensiva sul fronte in Ucraina nell’estate del 2024 e in caso di successo, desiderare di avanzare.

Vecchie paure e nuovi allarmi: nel Baltico e nel Nord Europa, nulla è più fantapolitica. Il fatto che Estonia, Lituania e Lettonia stiano preparando piani di difesa, e che gli alleati si preparino a sostenerli, dimostra che la storia non solo non è finita, ma sembra riproporsi nei suoi aspetti più inquietanti.

*Political and socio-economic analyst

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