Fondazione Marisa Bellisario

GLOBAL GENDER GAP, A CHE PUNTO È L’ITALIA?

di Paola La Salvia*

Il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum (WEF), che ogni anno registra lo stato del divario di genere nel mondo, posiziona l’Italia al 79esimo posto rispetto a 146 paesi analizzati, con una perdita di 16 posizioni rispetto ai dati accertati nel 2022, a notevole distanza rispetto a numerosi Paesi dell’Eurozona, dove ad esempio la Germania si conferma al sesto posto e la Spagna al 18esimo.

L’area in cui l’Italia ottiene un punteggio più basso è quella della “partecipazione economica e opportunità per le donne”. Mentre la posizione migliore si conferma nella sezione “livello di istruzione”.

Effettivamente si tratta di dati allineati anche alle statistiche di Eurostat dai quali si colloca l’Italia al terzultimo posto in Europa in termini di occupazione delle donne. Inoltre l’Italia è il paese con la divisione più iniqua del lavoro domestico, tra casa e lavoro chi è impegnata con un lavoro a tempo pieno lavora globalmente 60 ore a settimana, contro le 43 dei maschi, la responsabilità femminile è pari al 75 per cento. Questo impegnativo doppio ruolo equivale per la donna una maggiore sottrazione non solo di energie fisiche, ma anche mentali. Con inevitabile ripercussione sul tempo di cui possono disporre per concentrarsi sulla carriera dedicandosi, ad esempio, al networking, o alla ricerca di nuovi incarichi o ai viaggi di lavoro.

Da questi dati emerge ancora un’immagine fosca della condizione della donna nel mondo del lavoro oggi, una sostanziale situazione di povertà lavorativa. Le donne sono pagate meno degli uomini, sono più esposte a lavori precari, rimangono occupate in ruoli che non tengono conto delle loro reali qualifiche di studio o capacità professionali, con il lavoro domestico in gran parte sulle loro spalle. Scontiamo una mentalità che purtroppo è dura a morire e che rispecchia una precisa struttura produttiva e sociale, la sfera pubblica- quindi più lavoro- in capo agli uomini, quella privata- quindi la cura- in capo alle donne.

Un’occasione sprecata è stata quella dei Fondi destinati al PNRR , tra gli obiettivi del Piano, c’è anche quello di aumentare l’occupazione femminile entro il 2026 del 4 per cento, un incremento decisamente insufficiente e che peraltro rischia pure di non essere raggiunto, il 30 per cento dei posti di lavoro generati dai progetti dovevano essere riservata a donne e giovani, ma sono state introdotte una serie di deroghe in conseguenza delle quali nel 75 per cento dei casi il vincolo non è oggi rispettato.

Negli ultimi anni, diverse sono state le leggi e le politiche emanate per contrastare questo allarmante scenario e garantire l’uguaglianza di trattamento nelle opportunità di lavoro. Sono passati oltre 10 anni dalla ben nota Legge Golfo-Mosca sulle cosiddette “quote di genere”, considerata all’avanguardia in molti Paesi europei. Iniziativa nata per aumentare la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e che ha portato in Italia, secondo ‘Il Sole 24 ore’, il numero delle donne nei Cda delle società quotate dal 7 al 40%. Lo scorso anno, invece, è stato esteso l’obbligo di redigere il rapporto biennale sulla situazione del personale anche alle aziende con più di 50 dipendenti e quindi di fare disclosure rispetto alla composizione delle risorse umane divisa per genere.

Inoltre è stata introdotta la Certificazione di parità di genere, che seppur su base volontaria permette alle aziende certificate di ottenere sgravi fiscali e incentivi. Le imprese che vogliono intraprendere questo percorso dovranno dar conto di una serie di dati e informazioni qualitative afferenti a 6 macro-aree, ovvero: Cultura e Strategia; Governance; Processi HR; Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; Equità remunerativa per genere; Tutela della genitorialità e Conciliazione vita-lavoro. Ad oggi, in Italia, sono state certificate più di 500 imprese di comparti differenti.

L’introduzione del Sistema di Certificazione della parità di genere dà attuazione alla cosiddetta Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che, secondo il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, persegue l’obiettivo di raggiungere, entro il 2026, l’incremento di 5 punti nella classifica dell’indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE), che attualmente colloca l’Italia al 14° posto tra i Paesi UE.

Ma occorre fare di più. Lo Stato deve mettere in campo un grande piano coerente e condiviso di riforme con obiettivi chiari, che affrontino in materia organica la questione del lavoro femminile.

Per la politica servono alleanza trasversali, le uniche capaci di creare le condizioni per portare a casa risultati stabili e ove sia privilegiato l’interesse pubblico.

La questione della parità di genere è prima di tutto una questione di diritti. La parità è un diritto fondamentale, quello che accade alle donne ogni giorno e in molte parti del mondo, ha poco a che fare con i diritti umani universalmente riconosciuti e, nonostante i buoni propositi, le donne continuano ad essere discriminate solo per il fatto di essere donne. “Quando le donne saranno umane? Quando?”.

*Tenente Colonnello della Guardia di Finanza

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8 commenti su “GLOBAL GENDER GAP, A CHE PUNTO È L’ITALIA?”

  1. Gianfranco Rizzi

    Dati poco confortanti. Bravo colonnello e complimenti. La leggo sempre con interesse.

  2. Mi chiamo Kenya e vengo dal Niger, che bello parlare con voi. Mi eccito molto a leggere questi articoli.

  3. OH SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

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