Fondazione Marisa Bellisario

GIUSTIZIA CLIMATICA: A SALVARCI SARANNO LE AULE DEI TRIBUNALI?

di Anna Rita Germani*

 Il 9 aprile 2024 è stata una data storica per la giustizia climatica. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha infatti condannato per la prima volta uno Stato (la Svizzera) per non aver messo in campo abbastanza strumenti a contrasto del cambiamento climatico, accogliendo il ricorso dell’associazione delle Donne Anziane per il Clima (Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland). Le KlimaSeniorinnen, un’associazione di oltre 2500 donne di età superiore ai 64 anni, hanno richiamato l’attenzione sul fatto che i rischi per la salute, in particolare delle donne anziane, come dimostrato ormai da vari studi scientifici, aumentino considerevolmente durante le ondate di caldo, rese sempre più frequenti e intense dalla crisi climatica.

È la prima volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronuncia su un caso del genere, riconoscendo che le mancate misure a tutela dell’ambiente sono una violazione dei diritti umani, in particolare del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU), che le autorità statali devono proteggere dalle serie conseguenze del cambiamento climatico “sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita delle persone”. Tutti diritti questi che vengono classificati come climatici e che impattano con maggiore forza sui gruppi più vulnerabili maggiormente esposti agli effetti del cambiamento climatico e all’inquinamento ambientale. Per la Corte, la Svizzera ha fallito nel quantificare un limite alle emissioni nazionali di gas serra e non ha applicato nessuna misura per assicurarsi che gli obiettivi di riduzione delle emissioni venissero raggiunti. Il parere della Corte non è impugnabile e costituisce un precedente per le corti nazionali svizzere. La sentenza prevede inoltre che gli Stati forniscano informazioni al pubblico sulle misure climatiche adottate e che nel prendere decisioni venga ascoltato il parere della cittadinanza.

Una sentenza molto importante, dunque, la prima in Europa che auspicabilmente avrà un impatto significativo anche su altre future sentenze e che rappresenta un grande passo in avanti nelle cosiddette climate litigations vale a dire in tutte quelle azioni legali basate sul cambiamento climatico che hanno l’obiettivo di imporre a governi o imprese determinati standard per limitare le emissioni di gas serra, bloccare specifiche iniziative che potrebbero aumentare le emissioni, prevedere risarcimenti legati ai danni subiti, definire responsabilità.

Dall’analisi dell’ultimo Report Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review pubblicato dall’UNEP e dal Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University si evince che il contenzioso sul clima è in aumento in tutto il mondo passando dalle 884 cause che erano state individuate nel 2017 alle 2.180 del 2022. Sebbene la maggior parte delle cause sia stata intentata negli Stati Uniti, tali numeri mostrano come il contenzioso sul clima si stia progressivamente diffondendo in tutto il mondo e la tendenza fa presagire che vi sarà un ulteriore aumento delle cause riguardanti soprattutto la responsabilità a seguito di eventi meteorologici estremi.

Anche in Italia, nel mese di giugno 2021, è stata lanciata la prima causa climatica intitolata “Giudizio Universale” che, tuttavia, si è chiusa con una pronuncia di inammissibilità per difetto “assoluto” di giurisdizione. Più di 200 ricorrenti hanno chiesto al giudice ordinario di accertare l’inadempienza dello Stato italiano rispetto agli obblighi di contrasto al cambiamento climatico (per violazione dei diritti fondamentali della persona, come quello alla salute, e anche del diritto a conservare le condizioni di vivibilità delle generazioni future) e di condannarlo all’adozione di tutte le iniziative necessarie a ridurre le proprie emissioni di CO2 entro il 2030.

La giustizia climatica è strettamente legata alle battaglie ambientali intraprese dai movimenti nati negli Stati Uniti, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, contro l’inquinamento provocato dai rifiuti tossici e contro il razzismo ambientale. Il concetto di giustizia ambientale si fonda sulla constatazione di una ripartizione iniqua dei rischi e degli impatti ambientali e climatici che penalizza, con maggior gravità, le fasce più deprivate e più vulnerabili della popolazione. Nell’ambito della letteratura economica, gli studi empirici sulle ingiustizie ambientali in Italia sono ancora in uno stadio molto iniziale rispetto alla letteratura internazionale e, laddove emergono, hanno maggiori probabilità di manifestarsi in termini di discriminazione di genere.

Senza giustizia sociale non potrà esserci soluzione al cambiamento climatico. Per questo credo che studiare le relazioni tra disuguaglianze economiche, ingiustizie (sociali e ambientali) e cambiamento climatico sia attualmente un filone di ricerca con potenzialità molto grandi. Auspico, in definitiva, che il potere politico riesca a coniugare giustizia sociale e giustizia ambientale nel breve ma, soprattutto, nel lungo periodo. Chissà se le climate litigations, che rappresentano una soluzione di frontiera, non riescano proprio a colmare quel divario che si è venuto a creare tra gli obiettivi ambientali e le azioni effettivamente intraprese da governi e imprese, affermando l’urgenza di affrontare la crisi climatica non solo come una questione ambientale ma anche come una questione di diritti umani fondamentali?

*Professoressa Sapienza Università di Roma

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