Fondazione Marisa Bellisario

FINISCE DAVVERO L’ERA DEI COMBUSTIBILI FOSSILI? ECCO COM’È ANDATA LA COP28

di Anna Rita Germani*

Il 13 dicembre si sono chiusi i lavori della ventottesima Conferenza delle Parti (COP) svoltasi a Dubai – senza non poche contraddizioni dovute ai ruoli contrastanti di Sultan Ahmed Al Jaber nella duplice veste di CEO della società petrolifera degli Emirati Arabi Uniti e di presidente della Conferenza sul futuro dei cambiamenti climatici – nella quale tutti i Paesi del mondo hanno riconosciuto l’importanza di non superare 1,5 gradi di aumento della temperatura media terrestre, impegnandosi a triplicare l’energia da fonti rinnovabili entro il 2030. Le principali conclusioni della Cop28 possono essere riassunte in questi tre impegni: i) fare la transizione per uscire dai combustibili fossili, ii) accelerare le tecnologie zero carbon e low carbon, iii) conseguire la neutralità carbonica, cioè emissioni nette zero, entro il 2050. Nel testo degli accordi si legge anche un impegno per la rapida eliminazione dei sussidi inefficienti alle fonti fossili e tra le strategie che, insieme allo sviluppo delle risorse rinnovabili, possono portarci all’obiettivo della neutralità climatica, si citano anche il nucleare e la nascente cattura e stoccaggio del carbonio.

È questo l’inizio della fine per carbone, petrolio, gas e combustibili dannosi per il clima che, tuttavia, forniscono ancora circa l’80% dell’energia mondiale? Oppure è l’ennesima promessa vuota, troppo moderata e troppo tardiva per fare la differenza?

Sul punto più delicato, quello delle fonti fossili, il compromesso tra chi voleva un impegno forte e specifico rivolto all’abbandono (phase out) e chi puntava alla riduzione graduale (phase down) è stato trovato nell’espressione transitioning away, ovvero “realizzare la transizione fuori dai combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico”.

Indubbiamente, la vera buona notizia è rappresentata dal fatto che questa è la prima volta nella storia in cui tutti i combustibili fossili vengono, per iscritto, messi al bando, e questo è il segnale che la fine dell’era dei combustibili fossili potrebbe davvero essere alle porte. Temo, tuttavia, che vi sia stata una importante omissione relativamente al concetto di abatement, vale a dire l’uso delle tecnologie per abbattere o ridurre le emissioni di CO₂: senza una chiara definizione di questo termine nel testo, si rischia di generare interpretazioni troppo diverse e opportunistiche scappatoie su quanto sia necessario ridurre la combustione delle fonti fossili.

La cattura del 30% o del 60% delle emissioni di CO₂ sarà sufficiente? Oppure l’uso dei combustibili fossili sarà considerato “ridotto” solo se il 90% viene catturato e stoccato permanentemente? Leggendo il testo del Global Stocktake, il bilancio degli impegni che è stato approvato dalla COP28, i dettagli effettivi sono obiettivamente lacunosi e l’impressione è che sia stata tracciata un percorso che consente ai paesi produttori di combustibili fossili di continuare a espandere le loro produzioni nel nome della transizione energetica.

Il mondo ha accettato di fuoriuscire (transition away) dai combustili fossili senza determinare concretamente le azioni per raggiungere la loro graduale eliminazione e senza fornire il supporto finanziario promesso ai Paesi più poveri. Anche gli impegni verso il c.d. Loss and Damage Fund (Fondo per Perdite e Danni) istituito lo scorso anno per risarcire i paesi in via di sviluppo più poveri sono molto inferiori a quanto promesso e sarà finanziato da contributi volontari invece che obbligatori. La crisi climatica è fondamentalmente una tragedia di giustizia ambientale, poiché i paesi che già oggi sopportano i maggiori costi – umani, economici, sociali e ambientali – sono i paesi più poveri al mondo, i meno inquinanti, ma anche i più colpiti dal riscaldamento globale (l’intera Africa, per esempio, contribuisce solo per il 4% alle emissioni di gas serra globali).

E così, in questo quadro di luci e ombre, procediamo zoppicando verso la prossima COP29 che si terrà a Baku, in Azerbaijan, un altro paese leader nella produzione delle fonti fossili. Mi auguro che questo “colpo di coda” dei produttori di energia da fonti fossili possa essere letto come un segnale di buon auspicio in un mondo in cui i problemi ambientali, economici, politici, e militari, sono strettamente interconnessi, sperando che, prima o poi, attraverso l’ambiente passerà la pace mondiale.

*Professoressa Sapienza Università di Roma

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