Fondazione Marisa Bellisario

FAMIGLIA E SOCIETÀ: SU CHI PESA LA SFIDA DEMOGRAFICA?

di Anna Maria Tarantola

Si è respirata un’aria di grande vivacità intellettuale, di partecipazione e di concretezza alla 23ª edizione di “Donne Economia & Potere”. Sono state fatte anche proposte interessanti e utili e sono certa che la Fondazione saprà selezionare, tra le tante, quelle da presentare nelle giuste sedi per dare alle donne le stesse condizioni di lavoro, remunerazione e responsabilità degli uomini.

Personalmente, ho partecipato alla sessione “Famiglia e Società: su chi pesa la sfida demografica?”. Un tavolo aperto dalla moderatrice Marina Terragni con una serie di numeri e alcune considerazioni di base. La crisi demografica, lo sappiamo, si caratterizza per una riduzione del tasso di natalità al di sotto della soglia di due figli per donna e da una riduzione del tasso di mortalità inferiore alla riduzione del tasso di natalità. Gli effetti sono di grande rilievo: la popolazione si riduce e invecchia, la piramide demografica, invece di essere più larga in coincidenza dell’età 20-40 lo diventa in coincidenza la fascia 50-70 e la fecondità si riduce perché si riduce il numero delle donne in età fertile. Una situazione che interessa soprattutto l’Europa, il nord America e l’East Asia (Giappone). L’Italia è il Paese con il tasso di nascite tra i più bassi nel mondo (1,25) e con un numero medio di figli per donna pari a 1,18 (1,8 è la media europea); siamo leader europeo nell’invecchiamento; registriamo uno dei più bassi tassi di partecipazione delle donne al mondo del lavoro; è particolarmente lunga la transizione dei giovani allo stato adulto.

La crisi demografica è una questione complessa nelle modalità con cui si presenta, nelle cause e nei rimedi. Il problema è serio ed attuale; è stato sottovalutato e le politiche da poco attivate, pur necessarie, non potranno dare risultati positivi né nel breve né nel lungo periodo perché il declino demografico è iniziato già dopo la seconda guerra mondiale e oggi risentiamo del fatto di avere poche mamme e papà. La serie degli impatti è ampia e riguarda il sistema Paese nel suo complesso. A partire dalle famiglie, e dalle donne, sulle quali peserà sempre più una popolazione di anziani che l’attuale sistema di welfare non è in grado di gestire. Per passare al sistema economico che pagherà la carenza manodopera e i rischi di tenuta del sistema pensionistico. Una società invecchiata è meno vitale, meno solidale, meno propensa a innovare e ad adeguarsi o anticipare il mondo che cambia, c’è il rischio di non avere più fiducia nel futuro.

L’Italia, infatti, è tra i Paesi con il maggior divario tra il numero di figli che le donne hanno alla fine della vita riproduttiva, 45 anni circa, e il numero che desideravano a 20-24 anni. Dobbiamo evitare il rischio concreto di ritenere le donne causa della denatalità. La causa è la mancanza di condizioni favorevoli. Il divario tra il tasso di occupazione femminile e maschile è ancora superiore ai 17 pp (in UE è 10); solo da poco si pensa a politiche a favore della condivisione genitoriale; gli asili sono pochi e mal distribuiti e la lunga chiusura delle scuole crea problemi di gestione casa-lavoro; le scelte delle imprese nelle assunzioni, promozioni e remunerazioni non favoriscono le donne; il sistema di tassazione non incentiva il lavoro femminile.

Tante e interessanti le proposte emerse dal dibattito. Partendo dalla necessità di promuovere la piena parità e l’equità nel mondo del lavoro, nella società e in famiglia favorendo l’aumento del tasso di occupazione femminile in modo equilibrato tra regioni e l’equa distribuzione dei lavori di cura. Si propone poi di ridurre il tempo di transizione all’età adulta, prendendo spunto dagli esempi virtuosi di Vienna – che con una serie di iniziative è riuscita a invertire l’andamento demografico – e della Svezia, che ha sostenuto l’innovazione e le start-up. In entrambi i casi, si sono rese l’istruzione e il primo impiego compatibili con la genitorialità. Servono, ad avviso del nostro tavolo, gli incentivi giusti per motivare sia le giovani coppie a procreare, sia le imprese ad assumere donne e giovani e a favorire la maternità. Ed è urgente un’efficace gestione dell’immigrazione perché se gli immigrati, correttamente integrati, possono contribuire a ridurre la tendenza alla riduzione della popolazione, secondo studi approfonditi le immigrate tendono col tempo a replicare gli stessi comportamenti procreativi delle donne italiane. Al contempo, bisogna adottare incentivi per far tornare gli emigrati, negli ultimi 10 anni 1 milione di persone, in prevalenza giovani laureati, che ha lasciato il nostro Paese. È opportuno progettare soluzioni innovative, anche sperimentali, nella gestione dell’invecchiamento ma anche individuare una nuova e diversa organizzazione dei tempi scolastici. Bisogna cambiare la cultura prevalente che considera i figli come un costo per le famiglie e supportare, con azioni concrete, la convinzione che si tratta invece di un investimento per il Paese, proponendo modelli positivi di famiglie numerose, magari avvalendosi degli esempi di enti locali, come la provincia autonoma di Bolzano, che già adottano politiche efficaci a favore della natalità. È necessario a nostro avviso che la denatalità diventi un problema europeo. E, tra le proposte innovative, quella del passaggio da welfare state a welfare society, adottando iniziative simili a quelle proposte da study svolti alla Georgetown University di emettere una welfare card, una sorta di patente del terzo settore che operi come meccanismo di premialità

In conclusione, gli effetti negativi della crisi demografica ricadranno sui nostri figli, è una cosa che non ci possiamo permettere come non ci possiamo permettere la crisi climatica.

*Presidente Fondazione Pontificia Centesimus Annus Pro Pontifice

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