Fondazione Marisa Bellisario

DONNE E COMUNICAZIONE DI CRISI

di Rosaria Talarico*

Uno degli elementi più efficaci nella comunicazione, che porta con certezza a destinazione il messaggio e lo rende credibile e duraturo, è l’empatia.

Cioè l’autentica capacità di mettersi nei panni dell’altro, di comprenderne la sofferenza e partecipare con sincerità al suo dolore. Si esprime, quindi, innanzitutto nei comportamenti. Molto spesso in chi ricopre incarichi istituzionali è assente: un po’ perché è un tratto caratteriale che varia quindi da persona a persona e un po’ perché i contesti formali e i protocolli di certo non la incoraggiano. Durante la prima fase della pandemia, nei discorsi dell’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte così come del ministro della Salute Speranza, non si è mai riusciti a trasferire un reale coinvolgimento nel dramma dei lutti, nella solitudine dei malati e negli sforzi del personale sanitario. Può capitare a chi è in prima linea, sotto stress e sommerso da un eccesso di input contemporanei, ma è compito dei comunicatori tenerlo sempre presente per evitarlo.

Interessante anche il confronto tra la comunicazione “in cattedra” di Giuseppe Conte e quella sorprendentemente empatica ed efficace della cancelliera tedesca Angela Merkel. Un vero e proprio ribaltamento dei luoghi comuni sulla freddezza teutonica e il calore mediterraneo. Sempre in questo contesto è opportuno ricordare l’iniziativa avviata della prima ministra norvegese, che aveva organizzato una conferenza stampa per rispondere alle domande dei bambini durante la pandemia.

Empatia e umanità sono elementi distintivi della leadership nel suo senso più elevato, e non è retorico ricordare l’importante contributo che le donne possono apportare sia alla gestione sia alla comunicazione di crisi. Per predisposizione genetica le donne hanno qualità che le rendono maggiormente empatiche e spesso comunicatrici più efficaci. Durante la gestione della pandemia invece a spiccare è stata la loro assenza: nessuna donna nel Cts (il Comitato tecnico scientifico responsabile di tutte le decisioni sanitarie), scarsa presenza femminile nelle altre strutture, dalle task force gli enti commissariali. Lo stesso dicasi per i portavoce della protezione civile e della presidenza del Consiglio dove invece a risaltare era un certo spregiudicato cinismo (cioè l’opposto dell’empatia). La comunicazione istituzionale non deve per forza essere fredda per risultare professionale o affidabile: è vero piuttosto il contrario, anche se lo stereotipo di non mostrare i sentimenti è duro a morire, soprattutto in alcuni contesti. Diverso è l’abuso o la spettacolarizzazione fine a sé stessa che se ne fa altrove.

Di questi aspetti ho scritto anche nel libro “Lo Stato in crisi. Pandemia, caos e domande per il futuro” www.lostatoincrisi.it che analizza proprio la gestione di crisi durante la prima fase della pandemia. Un lavoro frutto dell’impegno di 35 autori (e autrici!), in cui ho curato i capitoli dedicati alla comunicazione scientifica e di crisi. I proventi sono devoluti alla Fondazione Theodora che si occupa di far tornare il sorriso ai bambini ricoverati in ospedale.

*Giornalista ed esperta di comunicazione

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15 commenti su “DONNE E COMUNICAZIONE DI CRISI”

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