In questo numero, come promesso, abbiamo dato spazio e voce alle candidate. Hanno risposto in tante, ci parlano della loro idea di Europa e fanno un appello (femminile) al voto. Sono di tutti i partiti, in tutte le circoscrizioni. Leggetele, dicono molto di più di quanto abbiamo ascoltato in questi mesi di campagna elettorale. Il nostro augurio è che vengano tutte elette, per portare le loro competenze ed esperienze, la loro visione e serietà al servizio dell’Europa, quella di domani, quella che deciderà sul nostro futuro!
Abbiamo appena celebrato la Festa della Repubblica e per un attimo forse il nostro pensiero è andato al commovente finale di “C’è ancora domani”, il bel film della Mela d’Oro Paola Cortellesi. Nel referendum del 2 giugno 1946, 13 milioni di donne hanno votato per la Repubblica, 25 milioni di italiani andarono alle urne. Per quelle donne il diritto di voto era una conquista. «Non saremmo più state considerate solo casalinghe o lavoratrici senza voce, ma fautrici a pieno titolo della nuova politica italiana» scriveva una deputata dell’assemblea costituente 77 anni fa. Fino agli anni 80, quell’entusiasmo si è mantenuto saldo e nel ’58 l’affluenza femminile alle urne toccò il picco del 94,1%, mezzo punto percentuale più degli uomini. Poi, dal 1983 la platea degli astenuti ha cominciato a ingrossarsi e anche la forbice tra uomini e donne, che ha toccato il picco del 5% tra il 2013 e il 2018, per poi scendere al 3,5% nel 2022.
Le donne votano quindi meno degli uomini ma il punto è che sono proprio gli italiani a disertare le urne, soprattutto in occasione del voto europeo: nel 2019 non va a votare una donna su due (contro il 27% degli uomini). Questo il dato da ribaltare per due motivi, a mio avviso.
Primo e generale: l’esito delle elezioni dell’8 e 9 giugno orienterà il futuro dell’Europa, che non potrà essere più forte e democratica se metà della sua popolazione non va a votare. La polemica che ha agitato le ultime giornate politiche – la corbelleria della richiesta di dimissioni di Mattarella da parte di un deputato leghista – credo che sottintenda molto di più dell’estemporanea e schiocca uscita di un deputato in cerca di ribalta. «Con l’elezione del Parlamento europeo consacreremo la sovranità dell’Ue» ha detto il Presidente il 2 giugno ed è un punto dirimente su cui occorre esser d’accordo.
A questo proposito, nel 2021, Mario Draghi nel suo discorso di insediamento pronunciò parole chiare: «Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere». Credo non ci sia nulla da aggiungere per comprendere, senza se e senza ma, che la cornice europea è l’unica in grado di “salvarci” dai giganti mondiali, e non solo in termini economici. Nell’attuale contesto geopolitico, i presidenti, commissari, deputati che siederanno a Bruxelles per i prossimi cinque anni hanno forse la responsabilità più onerosa da quando l’Unione esiste. A noi spetta scegliere i migliori perché dalle sfide dei prossimi anni dipende tanto del nostro futuro come cittadini italiani ed europei.
Il secondo punto, invece, riguarda proprio noi donne. L’ultima legislatura europea è stata la più femminile di sempre. Ursula von der Leyen è stata la prima donna alla guida del governo dell’Ue dopo 13 uomini e 61 anni. E la prima a mettere a segno una perfetta parità di genere nel collegio dei 27 commissari: 13 uomini e 13 donne e in occasione di sostituzioni ha chiesto ai governi l’indicazione di un uomo e una donna, prendendo l’impegno a garantire parità perfetta anche nei ruoli dirigenziali della macchina amministrativa dell’Ue. Al Parlamento Ue, dopo 20 anni di guida maschile, un’altra donna – Roberta Metsola, subentrata alla scomparsa nel nostro David Sassoli –e un tasso record di eurodeputate (39,8%, erano il 15,9% nel ’79). Non può apparire come un caso che proprio questa nona legislatura abbia visto l’adozione di una serie di dossier legislativi in materia di uguaglianza di genere.
A partire dalla direttiva che finalmente, adotta anche in Europa la quota del 40% di donne nei CdA delle grandi società europee, bloccata dai governi per oltre un decennio. Per passare alla direttiva che mira a contrastare il gender pay gap o alla Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica che, seppur gravemente, e colpevolmente mancante del reato di stupro – ci si augura vivamente che i governi trovino un accordo nella sua definizione e possa essere re-introdotto – rappresenta il primo strumento giuridico europeo contro la violenza.
C’è ancora molto da fare ma una poderosa, determinata e qualificata presenza femminile è la condito sine qua non perché il gender gap diventi la priorità dell’agenda europea.
E torniamo al punto di partenza: Votate Donna!!