di Laura Turati* e Nicoletta Ferrari**
La legge Golfo-Mosca compirà 13 anni il prossimo luglio e, nonostante i provati successi in termini di rappresentanza femminile nella governance e soprattutto di produttività aziendale, permangono criticità.
Il cambio culturale non si è dimostrato rapido come sperato tanto da essere utopico il solo pensare a una applicazione estensiva dei principi della legge.
E questo nonostante le sentenze della Corte Costituzionale e le decisioni dell’Unione Europea per cui la parità di genere riveste una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni di PNRR e le quote siano state mutuate dalla recente direttiva europea 2022/2381 del Parlamento Europeo e del Consiglio.
Mentre in Europa l’approccio di gender mainstreaming è indiscutibilmente e pacificamente assurto a metro di valutazione di impatto del PNRR stesso, ma in generale di tutte le politiche e delle proposte di Legge, in Italia tarda ad affermarsi ed è comunque subordinato dalle logiche della politica.
Quanto occorso a Verona nelle recenti nomine della Fondazione Cariverona è esempio emblematico di questo e di come non siano sufficienti per tutelare la parità di genere nemmeno le previsioni statutarie, nella specie conformi all’art. 8 c.3 Protocollo 22.4.2015 MEF-ACRI, se non accompagnate da quote numeriche e percentuali.
Il Consiglio di Amministrazione, il Consiglio generale e il Collegio sindacale di Fondazione Cariverona, rinnovati il 15 marzo scorso, su 34 membri contano 4 donne, addirittura meno delle 6 della precedente consigliatura, una macroscopica sotto rappresentanza del genere femminile. Triste evento nell’anno 2024 in una città dal profilo internazionale come dimostra il recente vertice del G7. Di fatto un anacronismo, un approccio del tutto stonato rispetto ai temi della modernità e alle legittime aspettative di una Fondazione proiettata verso sfide e traguardi per il nostro futuro ma purtroppo in linea con la recente rilevazione Ocse che pone l’Italia agli ultimi posti dell’Unione europea per alfabetizzazione e divario di genere sulle tematiche finanziarie.
Le quote quindi servono ma soprattutto serve chi ne faccia rispettare il principio che le legittima e ispira, ovvero l’essere un volano di crescita democratica, economica e sostenibile.
Un appello in primis ai collegi sindacali dei singoli Enti o aziende, poi a tutte le associazioni anche di categoria che devono pretendere la presenza femminile, alla politica che la deve imporre ed infine a uomini e donne che ancora hanno la convinzione che le quote in fondo sviliscano le donne di merito.
*Imprenditrice
**Avvocata Cassazionista