di Laura Collinoli*
La prima fu Elsa Morante, tra le icone della letteratura italiana. Era il 1957 e portò a casa il Premio Strega con L’isola di Arturo, edito Einaudi. Il riconoscimento esisteva già da undici anni e nel ‘52 era stato il suo grande e tormentato amore, Alberto Moravia, ad aggiudicarselo.
Dopo di lei ci sono state Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, Maria Bellonci, Maria Teresa di Lascia, Dacia Maraini (anche lei grande amore di Moravia), Margaret Mazzantini, Melania G. Mazzucco ed Helena Janeczek. Undici donne in oltre settanta edizioni. Poche, pochissime.
Nel 2018, quando si impose La ragazza con la leica di Janeczek, erano quindici anni che non ne vinceva una. L’eccezione? Nel 2002 e 2003, con due vincitrici una di seguito all’altra. Non ti muovere, di Margaret Mazzantini, divenne subito una pellicola di successo con una straordinaria Penélope Cruz e la regia di Sergio Castellitto, mentre Vita, di Melania Mazzucco, diventerà un film nel 2022, con Claudio Giovannesi già al lavoro per realizzarlo.
Qualcuno dice che la “colpa” di tutto questo – dello strapotere maschile – sia da attribuire ai grandi editori e a un marketing che per anni ha parlato solo da un punto di vista. Eppure a ideare lo Strega fu insieme al mecenate Guido Alberti (che gli diede il nome del liquore dell’azienda di famiglia) una donna, Maria Bellonci, vincitrice lei stessa nel 1986. E proprio la Fondazione che porta il suo nome organizza oggi il premio letterario italiano più prestigioso. Maria Bellonci nata Villavecchia e moglie di Goffredo Bellonci. Sta anche in questo passaggio una spiegazione sul ruolo che le donne hanno avuto nella società per tanti, troppi anni, con il proprio cognome abdicato in favore di quello del marito. Ma questa è un’altra storia.
L’edizione di quest’anno va controcorrente già dai dodici finalisti. Sette sono donne (di cui cinque presentate da uomini) e chissà che alla proclamazione, fissata per il prossimo 8 luglio, il rituale sorso di Strega non possa essere per una di loro.
Donne diverse per età, storia, cultura. Dalla quasi novantenne Edith Bruck, in corsa con Il pane perduto, alla ventisettenne Alice Urciuolo, che presenta Adorazione, il suo primo romanzo. In mezzo ci sono Maria Grazia Calandrone, con Splendi come vita; Giulia Caminito, con L’Acqua del lago non è mai dolce; Teresa Ciabatti, con Sembrava bellezza; Donatella Di Pietrantonio, con Borgo Sud e Lisa Ginzburg, con Cara pace. Sua nonna Natalia, nata Levi e figlia di Giuseppe, maestro del Premio Nobel Rita Levi Montalcini, vinse lo Strega nel 1963 con il romanzo autobiografico Lessico famigliare.
Sette libri differenti, in cui dominano le figure delle madri e delle sorelle. C’è poi il tema dell’adolescenza, quello drammatico della sopravvivenza ai campi di concentramento e pagine esilaranti ma anche struggenti sullo scorrere impietoso del tempo.
Forse quest’anno, al Ninfeo di Villa Giulia, sarà il tempo di una donna.
*Giornalista e blogger
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