Fondazione Marisa Bellisario

CERTIFICAZIONE DI PARITÀ DI GENERE: LO STATO DELL’ARTE

di Florinda Scicolone*

Nel gergo lessicale, nel vocabolario della Governance comincia a essere sempre più familiare l’espressione UNI/PdR/125: 2022.

La prassi di riferimento UNI/PdR 125: 2022 redatta dall’Uni- Ente Italiano di Normazione, in virtù della Legge 162/2021 che ha previsto la certificazione della parità di genere che ha il fine di attestare che l’Azienda possegga una strategia, una programmazione di politiche strutturali, organizzative che riguardano l’equilibrio di genere in sei aree. Che dimostri che la gestione della programmazione sia affidata a una figura che possegga determinate competenze tecniche, indicata come Responsabile della parità, con la costituzione di un comitato nel quale dovrà farne parte l’Amministratore delegato oppure l’Amministratore Unico. Destinatarie della normativa sono sia le aziende pubbliche che private che terzo settore. Prevista su base volontaria e non obbligatoria, con effetto premiale in decontribuzione e partecipazione ai bandi.

Da luglio scorso, quando è diventata operativa, a oggi, lo stato dell’arte è molto positivo. Le aziende stanno rispondendo molto bene. Personalmente da giugno scorso ho partecipato a svariati panel nei quali le aziende che si confrontano, manifestano un interesse concreto a comprenderne il meccanismo per potersi e volersi adeguare. Dai dati di Accredia al mese di Gennaio 2023 sono 170 le aziende certificate.

La riflessione che pongo, però, come Giurista d’Impresa che vive la tematica della Diversity & Inclusion nella governance è che in Italia i motori della parità di genere aziendale si accendono solo quando sono previste normative, alle quali, quindi dobbiamo riconoscerci non solo un valore giuridico, ma anche sociale perché diventano  un mezzo per avanzare in gender balance.

L’esempio storico della normativa che ha acceso i motori, a cui si deve riconoscere un valore giuridico e sociale, in quanto ha posto un cambiamento culturale, è stata proprio la Legge Golfo-Mosca che in Italia si puo’ considerare la normativa madre di tutte le conquiste che mano mano si possono raggiungere nell’equilibrio di genere aziendale. Sull’analisi che pongo da dieci anni dell’applicabilità della normativa nella governance delle quotate mi convinco sempre di più che se non ci fosse stata la Legge Golfo- Mosca, non ci sarebbe stato nessun cambiamento culturale, e probabilmente non ci sarebbero state altre normative in tal guisa. La certificazione della parità di genere è, quindi, figlia del cambiamento culturale attivato dalla Legge Golfo- Mosca. Le aziende stanno rispondendo alla certificazione della parità, perché la normativa ha previsto un meccanismo nella decontribuzione, ma soprattutto in occasione di partecipazione ai bandi. Ciò dimostra, conseguentemente,  he nel nostro paese sono ancora necessarie normative che fungono da antibiotico, definizione storica della Presidente Lella Golfo, che curano la patologia della mancanza dell’equilibrio di genere. Una patologia che è necessaria ancora la cura perché fino a quando non verrà sanata, il sistema democratico non potrà trovare una piena espressione.

*Giurista d’Impresa, Diversity & Inclusion Specialist

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3 commenti su “CERTIFICAZIONE DI PARITÀ DI GENERE: LO STATO DELL’ARTE”

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