Fondazione Marisa Bellisario

AZIENDE E PARITÀ: A CHE PUNTO SIAMO

Da più di 12 anni parlo, penso, valuto, difendo le quote di genere. All’inizio una grande fatica, contro avevo non solo i poteri forti ma i media e anche parte non trascurabile dell’opinione pubblica, maschile. Poi, fortunatamente, il tema è stato in un certo senso “sdoganato” e anche i più scettici sono stati costretti a riconoscerne non tanto il valore ma l’utilità. Ancor più in un contesto in cui i criteri ESG sono diventati imprescindibili per ogni organizzazione e sul fronte dell’inclusività e della parità i passi da fare, e misurare, restano ancora tanti.

E allora, forse vale proprio la pena tornare su questo strumento e capire dove è arrivato e cosa invece non può ragionevolmente ottenere.

Rimandando a un altro capitolo il tema della politica e delle istituzioni, concentriamoci sulle aziende, dove una legge, la mia, impone le quote. L’obiettivo primario era raggiungere una massa critica nei CdA ed è stato centrato. Prima della norma, su 2815 consiglieri solo 169 erano donne e su 817 sindaci, appena 55. Oggi hanno superato il 43%, quasi da far gridare al miracolo. E hanno apportato un sensibile miglioramento della qualità dei board: più giovani, con un curriculum più internazionale, più istruiti.

Cosa non è successo, invece, dal punto di vista strettamente numerico e fattuale. Prima di tutto, le donne non hanno conquistato i ruoli esecutivi. Nel mercato delle quotate, solo il 22% delle donne lo riveste mentre il 45% rimane consigliere non esecutivo. Le Amministratrici Delegate sono addirittura diminuite: dal 3,3% del 2013 al 2% del 2022 mentre le Presidenti si attestano al 3.8% (+0.9% dal 2013). Non si è riusciti a frenare il fenomeno dell’interlocking, con 243 consigliere che rivestono più di un incarico. Non è stato intaccato il gap delle retribuzioni, che anzi appare ancora più marcato rispetto alle aziende private non quotate. Mentre lì il gap può arrivare al 60% per le poche Presidenti, nelle quotate è addirittura al 94,5%, il 27% per il ruolo di AD e il 17,1% per i ruoli non esecutivi. Se si guarda alla classifica dei manager più pagati nelle aziende quotate, bisogna scendere al 66esimo posto per trovare una donna. Una debacle. Che potrebbe anche costare cara in futuro. Perché la direttiva approvata in prima lettura dal Parlamento europeo che punta a garantire parità di retribuzione prevede anche che chi ha subito una discriminazione retributiva sulla base del genere avrà diritto a ottenere un risarcimento che comprende il recupero totale delle retribuzioni arretrate e un indennizzo per i danni causati. Ancora una legge per “imporre la parità”.

Le quote, l’ho sempre detto, sono un semplice strumento e non la panacea. Hanno fallito? No, assolutamente. Il loro unico compito era portare più donne a bordo, ora tocca fare il resto. Un compito che non può spettare al legislatore, se non in parte, ma che tocca soprattutto alle aziende. La certificazione di genere darà una mano in questo senso, certamente, ma sappiamo essere su base volontaria e, sebbene anche le PMI si stiano muovendo, sarà importante coinvolgerle sempre di più, anche sostenendo i costi della certificazione. Lo stesso obbligo di rendicontazione non finanziaria va in questa direzione ma anche lì il fenomeno del pinkwahshing è dietro l’angolo soprattutto per quanto attiene ai gap retributivi dei vertici che le aziende possono continuare a non rendere trasparenti.

E allora il tema è una cultura aziendale che sia inclusiva davvero e non a parole. Ci sono sempre più esempi in questo senso e l’effetto emulativo – che sia ispirato a una reale convinzione o a un meccanismo competitivo poco importa – può far molto. Esistono e sono praticate da alcune aziende illuminate, in gran parte multinazionali, strategie di empowerment femminile che hanno dimostrato nei fatti di funzionare.

Inutile attribuire alle quote la colpa di non aver portato più donne nei ruoli esecutivi se dentro le aziende non esistono piani di successione paritari. Non servono nomi di donne ma donne che crescono dentro le aziende e vengono formate e preparate per occupare quelle caselle. La parità non è un bollino ma una strategia di crescita, le aziende che lo hanno compreso la praticano e ne raccoglieranno sempre più i frutti. Sul mercato dei capitali, prima di tutto, visto che gli investitori sono sempre più sensibili al tema dell’inclusione come leva di sostenibilità. Ma anche sul mercato dei talenti, sempre più orientato a scegliere il posto migliore in cui lavorare, quello che garantisce il welfare più illuminato e le migliori e opportunità di carriera, meritocratiche. La selezione sarà inevitabile e chi non salirà sulla barca della parità sarà destinato a perdere.

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13 commenti su “AZIENDE E PARITÀ: A CHE PUNTO SIAMO”

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