Fondazione Marisa Bellisario

IL PROFESSIONISMO VA AL DI LÀ DEL GENERE

di Giovanni Malagò*

Il recente riconoscimento del professionismo nel calcio femminile rappresenta sicuramente una novità significativa, i cui meriti vanno ascritti alla meritoria opera della Federcalcio che ha saputo cogliere un’opportunità offerta dalla legge, lanciando contestualmente un segnale preciso a tutto il Paese e alle istituzioni governative a nome del nostro movimento. Il discorso legato a questa tematica così importante deve essere infatti analizzato in profondità, al di là di ogni trionfalismo che rischia di depauperare il contenuto di una rivendicazione sacrosanta e legittima, da sostenere con argomenti concreti e aiuti tangibili.

Il risultato celebrato in modo acritico, senza scrutare gli effetti in un orizzonte temporale a medio-lungo termine, potrebbe trasformarsi in un pericoloso boomerang destinato a produrre effetti spiacevoli, dettati da circostanze di forza maggiore. Come hanno ricordato molti componenti del Consiglio Nazionale del CONI – il Parlamento del nostro mondo – ci sono criticità che vanno oltre lo status e riguardano i fondi per sostenere la svolta tanto agognata. La stessa FIGC, che ha compiuto questo passo così importante, attraverso il Presidente Gravina, ha sottolineato di confidare nella modifica del provvedimento che riguarda la figura del lavoratore sportivo da parte del decisore politico per accompagnare un processo molto oneroso, che necessita di fondi reali non solo di risorse che garantiscano solo la transizione.

Il Fondo previsto dal Legislatore nel 2020, che ha permesso con il contributo statale di tagliare questo primo traguardo, è stato istituito per agevolare il passaggio al professionismo, presupponendo che l’eventuale conseguimento dello status garantisca ai campionati femminili di generare risorse in modo automatico. Un ragionamento transitivo pericolosamente opinabile che diventa il vulnus di una fattispecie molto più complessa. Il professionismo va al di là del genere, riguarda l’intero mondo sportivo ed è regolato da una legge ampiamente anacronistica, la 91 del 1981. Il problema riguarda infatti la sostenibilità del progetto, che va supportato garantendo adeguate garanzie. Il quadro d’insieme, rispetto a quello originariamente regolamentato da una norma di oltre 40 anni fa, si è infatti profondamente evoluto e modificato, e oggi devono intervenire nuove dinamiche per garantire una prospettiva che dia solidità e garantisca risultati nel tempo.

Il ragionamento è avvalorato dallo scenario attuale: le discipline sportive riconosciute come professionistiche in ambito maschile sono infatti calcio, ciclismo, golf e pallacanestro, plastica rappresentazione di un problema che investe l’intero sistema e non certamente tende a discriminare un genere piuttosto che un altro, anzi li riguarda entrambi.

Lo sport italiano vive sulle imprese e sugli esempi di campionesse e di campioni acclamati che hanno vinto ori olimpici ma senza essere riconosciuti come professionisti. La vera sfida è armonizzare la situazione all’interno del nostro mondo, da sempre riconosciuto vettore di uguaglianza, solido ponte capace di unire, annullando ogni differenza e diversità. Non si tratta di un traguardo sportivo ma di una vittoria culturale da conseguire nell’interesse del Paese e dei valori che sa esprimere.

*Presidente CONI

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6 commenti su “IL PROFESSIONISMO VA AL DI LÀ DEL GENERE”

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