Non un bilancio esaltante per la parità. Le nomine del governo Meloni tanto attese per le big partecipate non hanno segnato il cambiamento che si attendeva. L’unica novità, largamente annunciata e mantenuta, è la nomina, 42 anni dopo Marisa Bellisario all’Italtel, di Giuseppina Di Foggia alla guida di Terna. Enel, Eni e Leonardo rispettano la parità nei CdA – 3 donne su 6 membri del board nelle prima due, tre su otto nel player mondiale della difesa – ma fanno un passo indietro sui ruoli esecutivi con la perdita della presidenza ricoperta da Lucia Calvosa. Poste segna ugualmente un 50% di posti nel board e conferma una presidente donna, Silvia Rovere, al posto di Maria Bianca Farina. Idem per le Enav che sostituisce alla Presidenza Francesca Isgrò con Alessandra Bruni mentre Monte dei Paschi di Siena perde anche la presidenza al femminile di Patrizia Grieco.
Dovremmo festeggiare la prima AD dopo quasi mezzo secolo? Si se non fossimo ambiziose. Il punto è che anno dopo anno – e ne sono passati quasi 12 – appare evidente come senza il salvagente della mia legge sulle quote di genere le donne sarebbero ancora al palo (e il delisting di Atlantia con il ritorno a un CdA di solo uomini lo certifica nei fatti). E questo nonostante decine e decine di studi continuino a dimostrare, dati alla mano, che la presenza femminile ai vertici porti un miglioramento della reputazione e della responsabilità dell’impresa, una crescita dell’innovazione e delle performances finanziarie. Evidentemente non basta. Nonostante le dichiarazioni di buona volontà, la concentrazione delle leve gestionali rimane saldamente in mano maschile. Una questione di potere, certamente.
Ecco perché l’attesa per queste nomine era tanta. Stanti le sfide del Pnrr, il potere di chi guiderà queste aziende sarà ancora maggiore. E questo potere, è chiaro, non è ancora pienamente contendibile. La politica non ha dato un segnale chiaro, inequivocabile. Forse Giorgia Meloni ci ha provato – e il risultato di Giuseppina Di Foggia starebbe là a dimostrarlo – ma è una contro tanti, tutti uomini, tutti arroccati in una logica di cooptazione e appartenenza ampiamente superata dalle nuove ragioni imposte dai mercati.
Ma se la politica non dà il buon esempio, il sistema manageriale italiano non è da meno. Qualche dato per capire la distanza che ancora ci separa dai ruoli esecutivi? In un campione costituito dalle 50 principali società quotate, rappresentative di vari settori di business, se la presenza femminile nei CdA supera il 41%, nei comitati esecutivi si ferma al 13,7% mentre su un centinaio di top manager, nessuna ricopre la posizione di Ceo. Forse perchè le, poche, manager di prima linea vengono spesso destinate a ricoprire ruoli funzionali specialistici e solo il 12% del campione ricopre posizioni gestionali di business.
La soluzione? Un cambio culturale che passa però da azioni concrete. Penso ai piani di successione, uno strumento di particolare efficacia. E visto che sono tante, grazie alla mia legge, le donne in CdA, spetterebbe proprio a loro pretendere che il nuovo Ceo di turno si faccia carico di formare almeno un paio di figure femminili da inserire a pieno titolo nella lista dei suoi potenziali successori. Le multinazionali, come Nokia da cui proviene la nuova AD di Terna, sono già da decenni su questa strada, rivelatasi assai profittevole. Le nostre aziende, invece, arrancano difendendo fortini ormai indifendibili e rendite di posizione che danneggiano business e competitività.
Intanto, esaurito il valzer delle big, il giro delle poltrone è ancora lungo: in tutto 610, in 105 diverse società (135 se si prende come termine ultimo il 2024). Nel 2023 rientreranno nella raffica di nomine gli organi di amministrazione di 18 società direttamente partecipate dai ministeri (tra le altre, Consap, Consip, Equitalia Giustizia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Sogin), 49 società di secondo livello, a loro volta cioè partecipate dalle grandi controllate (come Poste Pay e Poste Vita, Rai Cinema e Rai Way, Rfi e Trenitalia) e 3 società di terzo livello indirettamente partecipate da Cassa Depositi e Prestiti. Al 31 dicembre 2023 scadranno gli organi di amministrazione di 10 società direttamente partecipate – come Cassa Depositi e Prestiti, Gse, Invimit, Rai, Sogei, Ferrovie dello Stato – 51 società di secondo livello e 4 società di terzo livello indirettamente partecipate da Cdp.
Tanto potere ancora da amministrare, speriamo bene, guardando al merito più che al genere e alle appartenenze.