Fondazione Marisa Bellisario

TROPPE MADRI ABBANDONATE NELLA MIA MILANO BELLA

di Monica Mosca*

Rimango sempre stupita di quanto, per alcuni, sia facile giudicare l’operato degli altri. In genere un giudizio immediato e ingeneroso, come fosse loro compito avere l’ultima parola. Come sapessero di stare comunque dalla parte della ragione, e gli altri da quella del torto.

A volte più che stupita ne sono disgustata. Il caso della neonatina ritrovata senza vita in una zona residenziale di Milano, sopra un cassonetto di vestiti usati, è una di queste occasioni. In molti hanno avuto la parola pronta sulla madre, con un superficiale e insopportabile giudizio.

Anche certi quotidiani hanno liquidato in fretta la notizia: un altro figlio abbandonato da una donna! Fa pena, sì, ma anche po’ “disturba” in una città che si picca di stare all’avanguardia su ogni fronte di civiltà – eppure davanti alla stazione scavalca indifferente i senzatetto e allo stesso modo non si cura di sgomberare invece i delinquenti, che violentano impuniti le donne. Una città, la mia Milano, che promuove monopattini e piste ciclabili in ogni dove per contrastare l’inquinamento, tanto sicura di sé da avere gli affitti più cari d’Europa – e pazienza se i giovani che studiano fuorisede spendono 500 euro o più al mese per una sola stanza, non è compito nostro interessarci di dove vadano a dormire, qui bisogna la-vo-ra-re.

Ecco, quella minuscola bambina senza vita ha sortito l’effetto di un neo irritante. L’autopsia ha riscontrato che la piccola, quando è stata deposta sul cassonetto, era già morta. Insomma per fortuna, hanno scritto alcuni, la madre magari un pezzo di cuore ce l’ha, però non finisce qui. Perché se la piccola è nata senza vita è un conto, hanno giudicato, altrimenti la donna sarebbe colpevole di infanticidio e per lei ci sarebbe la prigione, un omicidio così, come si può…

Io spero che la mamma stia bene e che non abbia avuto complicazioni dopo il parto, avvenuto certamente fuori da un ospedale. E spero che quest’ultima tragedia, certo non nuova, nella Milano “del fare” susciti azioni concrete: perché la situazione, in questo come negli ultimi due recenti casi drammatici – Enea lasciato nella “culla per la vita” alla Mangiagalli e la piccolina portata all’ospedale dei bambini Buzzi – richiede l’intervento non solo e come al solito dei volontari, ma del Comune e della Regione e delle istituzioni tutte.

È necessario ricucire, rammendare, tessere da capo quella rete sociale per cui una donna in difficoltà con il pancione di nove mesi sia vista da qualcuno, sia avvicinata, consigliata, aiutata, accompagnata dove ci si possa prendere cura di lei e del suo bambino. Non ci dev’essere paura, non possono essere l’angoscia e la solitudine disperata a determinare gesti del genere: esistono case famiglia che devono accogliere le madri che hanno bisogno e i servizi sociali: ci sono per questo, per aiutare chi non sa, chi non ha abbastanza, chi si vergogna, non vede prospettive se non la fuga.

È necessario che tutte le donne, anche le ragazzine (e se la neonatina fosse la figlia di una giovanissima?) sappiano quali sono i loro diritti e che non verranno dunque punite se dovranno, per qualsiasi motivo, lasciare il figlio e non occuparsene più: possono partorire in anonimato all’ospedale, senza mettere a rischio la vita del piccolo e anche la propria.

Abbiamo tutti fallito nella comunicazione, che è il mestiere di noi giornalisti, non siamo in grado di informare, non riusciamo a raggiungere almeno con le parole chi ha bisogno di sapere, e quindi di salvarsi: la non conoscenza può uccidere. Diamoci da fare, insieme, perché la nostra mano tesa arrivi veramente alle donne in difficoltà come un appiglio amico cui aggrapparsi. Io sono a disposizione per farmi megafono.

*giornalista

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