Fondazione Marisa Bellisario

BIG TECH E SERVIZI FINANZIARI: UNA QUESTIONE DI FIDUCIA

di Luigia Tauro*

La tecnologia ha tante forme, spesso la identifichiamo con quella digitale, ma il suo significato primo è quello di “tecniche utilizzate per produrre oggetti e migliorare le condizioni di vita dell’uomo”. E qual è l’attrezzo per eccellenza, tanto da diventare un cult e da essere spesso usato come metafora per semplicità d’uso, adattabilità, efficienza e potenziale? Il coltellino svizzero!

Una superapp è come un coltellino svizzero, con una serie di strumenti che l’utente può utilizzare e rimuovere secondo necessità. Le superapp sono di tendenza perché gli utenti richiedono sempre più esperienze mobile-first che siano potenti e facili da usare. Gartner prevede che entro il 2027 oltre il 50% della popolazione mondiale sarà un utente attivo quotidiano di più superapp sia in ambito personale che professionale.

Nei paesi asiatici, le superapp sono realtà da oltre un decennio, capitanate dalla cinese Wechat, con cui è possibile messaggiare e chiamare, condividere foto e video, leggere notizie, giocare o fare pagamenti mobili. Nei paesi occidentali, molto più frammentati culturalmente, le superapp faticano ad affermarsi, ma presto la situazione potrebbe cambiare.

Il miliardario proprietario di Twitter, Elon Musk, sta accelerando i suoi piani per rendere la piattaforma di social media una superapp, con l’annuncio del trading in criptovalute e azioni sull’app, in collaborazione con eToro. Si parte con l’utilizzo del cashtag, cioè del nome dell’azione su cui si vuole fare trading preceduto dal simbolo $ anziché il tradizionale #, che per il momento visualizza contenuti in tempo reale sull’analisi finanziaria delle aziende e su ciò che sta accadendo nel mondo. Ma nelle sue dichiarazioni recenti c’è anche la volontà di offrire su Twitter servizi come transazioni peer-to-peer, conti di risparmio e carte di debito, come parte di un piano generale per lanciare una “app di tutto” che incorpori messaggistica, pagamenti e commercio. La sua ambizione è quella di arrivare a X, una app universale modellata su WeChat, e l’obiettivo dichiarato è diventare la più grande istituzione finanziaria del mondo. Una sfida complessa e costosa, per la quale ancora non emerge, tuttavia, la proposta di valore distintivo per gli utenti.

Molto chiara, al contrario, la proposta di valore di Apple che, sempre in ambito fintech e superapp, entra nel mercato della raccolta di risparmio con Apple Savings, dopo aver già attivato servizi finanziari nei pagamenti con Apple Pay, nelle carte di credito con Apple Card e nel credito al consumo con Apple Pay Later. A partire dallo scorso 17 aprile, gli utenti di Apple Card – lo strumento di pagamento nativo di iPhone, che già garantisce a chi lo usa zero commissioni e fino al 3% di cash back sugli acquisti – possono scegliere di aumentare i loro premi in denaro giornaliero con un conto di risparmio di Goldman Sachs, che offre un deposito ad alto rendimento del 4,15% annuo, un tasso che è oltre 10 volte la media nazionale negli Stati Uniti. Sullo stesso conto possono trasferire i propri risparmi senza commissioni e depositi minimi. Gli utenti potranno inoltre monitorare da Apple Wallet il saldo del proprio conto e gli interessi maturati nel tempo e prelevare i fondi in qualsiasi momento trasferendoli su un conto bancario collegato o sulla loro carta, senza commissioni.

Il conto è in realtà gestito da un intermediario finanziario autorizzato e sottoposto a vigilanza bancaria come Goldman Sachs, che trae beneficio dal minore costo del funding da clientela retail rispetto all’accesso al mercato dei capitali, in questo momento più onerosi. Ma è Apple che allarga e rende più fedele la sua base di clientela, proponendo un’esperienza a tutto tondo sui servizi finanziari. Ed Apple ha dalla sua due asset formidabili, un brand che compare sempre molto in alto nelle classifiche dei brand più riconosciuti e apprezzati dai consumatori e un’altissima customer intimacy, che la pone nella condizione ideale per gestire una relazione di fiducia con la clientela.

Sembra dunque che sempre più in futuro dovremo confrontarci con offerte di servizi finanziari gestiti da big tech attraverso le proprie piattaforme tecnologiche. Ma siamo pronte?

I risultati dell’ultima indagine di Banca d’Italia sull’alfabetizzazione finanziaria degli italiani non sono molto confortanti. L’indagine, condotta dalla Banca d’Italia all’inizio del 2020 seguendo la metodologia OCSE-INFE, definisce l’indicatore di competenze finanziarie come la somma dei punteggi calcolati per tre aspetti: le conoscenze, i comportamenti e le attitudini al risparmio. Per l’indice totale di alfabetizzazione finanziaria, nel 2020 l’Italia risulta in 25esima posizione su 26 paesi considerati. L’alfabetizzazione finanziaria è più elevata tra i 35 e i 44 anni, l’alfabetizzazione degli uomini si conferma più elevata rispetto a quelle delle donne e il divario tra uomini e donne è particolarmente forte nel profilo delle conoscenze.

Anche la recentissima indagine ISTAT Cittadini e ICT pone molti spunti di riflessione. Nel 2022 il tasso di diffusione di Internet tra le famiglie residenti in Italia con almeno un componente di 16-74 anni è del 91,4%, valore in linea con la media EU27 (92,5%). Il Paese, quindi, in questi tre anni ha recuperato il gap che lo caratterizzava in passato. Ma se si allarga l’analisi a tutte le famiglie residenti sul territorio italiano la quota di quelle che dispone di un accesso a Internet scende all’83,1%. Il divario di genere è in progressiva riduzione, anche se dichiara di accedere a Internet l’80,4% degli uomini a fronte del 74,7% delle donne.

Importante dunque valutare quali iniziative è possibile mettere in campo per promuovere l’alfabetizzazione digitale e finanziaria delle donne e superare anche questo gender gap.

*Tecnologa, membro del CDA di una banca quotata

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