a cura del Gruppo Mezzogiorno della Fondazione Marisa Bellisario
L’Italia resta una nazione divisa, con una gigantesca e insostenibile sperequazione Nord-Sud nella garanzia dei diritti fondamentali alla salute, alla mobilità, alla giustizia e alla sicurezza. Nella memoria presentata pochi giorni fa in Parlamento, Bankitalia sostiene che «la crisi innescata dalla pandemia ha riportato il Mezzogiorno al centro dell’agenda di politica economica» ammettendo, tra l’altro, che «la spesa in conto capitale assorbita dalle regioni meridionali nell’ultimo decennio è stata sistematicamente inferiore a quella destinata alle altre aree».
La pandemia ha certamente fatto esplodere contraddizioni e paradossi antichi portando, per esempio, a definire Zona rossa la Calabria non in ragione del numero di contagi ma dell’insufficienza di una rete sanitaria commissariata da decenni, con i pochi ospedali aperti in stato comatoso e interminabili cantieri di nuove strutture ormai fantomatiche.
Come conferma l’ultimo Rapporto Svimez, al Sud il Covid, lungi dall’essere una livella ha accelerato le ingiustizie sociali, rendendo ancor più fragili due categorie da sempre penalizzate: giovani e donne. L’emergenza ha cancellato l’80% del lavoro femminile creato negli ultimi 10 anni, il divario occupazionale che nel resto del Paese è del 18,9%, nella provincia di Crotone oggi arriva al 27%, mentre le infrastrutture sociali continuano a latitare (la spesa pro-capite per gli asili nido è di 1.468 euro nei Comuni del Centro e 277 euro al Sud!). L’Eurostat classifica la Campania 1ª, la Sicilia 2ª e la Calabria 8ª fra le regioni europee con la maggior parte della popolazione a rischio povertà.
In questo vero e proprio dramma, un Ddl collegato alla legge di bilancio prevede l’avvio del progetto di autonomia differenziata che sarebbe a dir poco disastroso mentre le risorse riservate al Sud dall’ultima bozza di Recovery Plan – che fortunatamente il Governo Draghi modificherà –rivelano la miopia di una classe politica ancora incapace di comprendere che senza un Sud produttivo e inclusivo, l’Italia non potrà uscire dalla crisi né essere competitiva sulla scena globale.
I fondi europei, se ben investiti, ci consentono di attuare un vero e proprio Piano Marshall per il Sud ma è necessaria volontà politica, lungimiranza nella definizione degli obiettivi strategici, e un ferrea azione di monitoraggio che scoraggi chi da secoli rema contro il progresso della società ed economia meridionali, criminalità organizzata in primis.
Servono infrastrutture prima di tutto, per esempio va completata la strada statale 106 – 491 km lungo la fascia litoranea jonica di Calabria, Basilicata e Puglia, un collegamento strategico per il Sud e una direttrice di traffico di rilevanza nazionale ricompresa nella Strada europea E9 – e va potenziato il ruolo del Porto di Gioia Tauro – vera porta del Mediterraneo – così come l’alta velocità per tutto il meridione e i collegamenti aerei e marittimi per la Sardegna. Le Regioni del Sud potrebbero prosperare, contribuendo al Pil nazionale, anche e solo attraverso il Turismo che però ha bisogno di porti, ferrovie, strade.
Serve un’azione forte contro la disoccupazione di giovani e donne, incentivi per le aziende meridionali, investimenti sull’imprenditoria femminile e giovanile, un poderoso piano di infrastrutture sociali.
Si deve avere il coraggio di osare forme di sinergia tra pubblico e privato aprendosi alle opportunità che la Next Generation EU offre per un Sud capace di affrontare le sfide ambientali, tecnologiche e sociali del nostro tempo e del futuro.
Il Governo ha il compito di gestire le risorse del Recovery fund in questa direzione e confidiamo nel neo Ministro Mara Carfagna, finalmente una donna e pure meridionale!
Le Regioni, da parte loro, devono assumersi la responsabilità di essere vettori di un cambiamento non più rinviabile.
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