Se non sono ancora venti di guerra, poco ci manca. Il bis di Mattarella ha certamente scosso gli equilibri e indebolito la figura del Premier Draghi che in queste ultime settimane ha provato a riprendere le redini, trovandosi di fronte partiti sempre più insofferenti e riottosi. Una strigliata mai vista. «Il governo è qui per fare le cose, altrimenti non si va avanti. Basta giochetti. Datevi una regolata» si è sfogato il Premier che ha messo da parte il politichese e detto chiaramente che «il governo deve fare le cose, il Parlamento garantire i voti». Tutto questo dopo che l’esecutivo era andato sotto ben quattro volte sul dl Milleproroghe. Poi c’è l’approvazione all’unanimità in CdM dei decreti contro il caro-bollette, che mette in campo 8 miliardi, anche per scongiurare frodi sui bonus edilizi e nella conferenza stampa che segue, Draghi prova ad abbassare i toni e minimizzare lo scontro, pur chiarendo che si possono rivedere le modalità di confronto ma la barra del timone resterà dritta. E quindi saldamente in mano a lui, si legge tra le righe… e meno male aggiungo io!
E qui entrano in gioco le donne. Sì perché lo scontro in atto tra il Premier e la maggioranza, se non sfocerà in elezioni anticipate – e qui peserà non tanto la responsabilità dei partiti vero il Paese ma i loro calcoli elettorali – certamente rischia di ripercuotersi su molti dei dossier aperti. E tra i tanti c’è sicuramente il risiko sulle nomine pubbliche che prenderà il via ufficiale in primavera ma le cui grandi manovre sono già cominciate.
In ballo ci sono 350 poltrone per i consigli di amministrazione di 49 società e di 41 collegi sindacali. Le prime scadenze sono stabilite entro il 30 aprile con, tra le altre, Consip, Eni, Sogin, Enav, PagoPa, Enav, Banca del Mezzogiorno. Poi ci sono Snam, Italgas e Fincantieri, Sace, Simest. E su tutte, invitalia, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo controllata al 100% dal Mef.
Per rispettare la scadenza delle liste, da presentare 45 giorni prima delle assemblee, si dovrà trovare la quadra entro la prima metà di marzo. Oggi, una delle indicazioni che emerge è di puntare sulla parità di genere e la sottosegretaria del Mef, Maria Cecilia Guerra, chiede che la metà delle nomine sia al femminile. E già qui un elemento fondamentale sarà la posizione. Perché se la percentuale del 40% nei CdA è garantita dalla mia legge, i ruoli esecutivi faranno la differenza. Assistere a un’altra sequela di presidenti donne sarebbe mortificante. Avere una maggiore percentuale femminile tra gli amministratori delegati farebbe la differenza. E segnerebbe un balzo in avanti.
Ora però il punto è: vincerà il metodo Draghi o lo stesso Premier dovrà fare un passo indietro e “accontentare” le richieste dei partiti? Le nomine pubbliche torneranno a essere “merce di scambio”? Uno a te e uno a me – e tutti uomini – in base alla forza numerica, o di veto, dentro la maggioranza? È il mio maggior timore e anche il banco di prova della credibilità del Premier e dei rapporti di forza con i partiti. Il mio auspicio è che vinca il merito, unico criterio che potrà garantirci manager in grado di traghettare le aziende pubbliche in un momento tanto delicato per l’economia del Paese.
Purtroppo i primi segnali non fanno ben sperare. Ci aspettano mesi di toto-nomine ma le ipotesi formulate finora sono tutte al maschile. E se prevarrà la logica dei partiti, finirà come sappiamo.
Certo noi ci saremo. Presenteremo a Draghi i nostri Curricula Eccellenti. E vigileremo. Perché i proclami di parità stanno a zero. Finora il Premier ha mostrato grande sensibilità per il tema della parità e ha ribadito a più riprese che è un uomo del “fare”. Ecco, sulla parità è tempo di smetterla di parlare e di dare segnali concreti. La leadership femminile non è un capriccio ma la necessità di un Paese democratico.
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