Fondazione Marisa Bellisario

LA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ

di Paola Tommasi*

Fuori dai confini nazionali, in Europa, è in discussione la riforma del Patto di stabilità, vale a dire le regole di bilancio che vincolano in maniera stringente l’attività governativa degli Stati membri. Sono i cosiddetti “paletti” sui rapporti deficit/PIL e debito/PIL per il mancato rispetto dei quali nel tempo l’Italia è stata più volte richiamata e che sono stati sospesi negli ultimi tre anni per l’emergenza Covid. Ebbene, stanno tornando!

La trattativa si tiene a Bruxelles e le bozze che circolano non sono particolarmente favorevoli al nostro Paese. Innanzitutto perché gli Stati vengono divisi in tre categorie in base all’ammontare del debito pubblico, ragion per cui, come noto, noi saremmo in fondo alla lista. Questo compromette il rating e i rendimenti dei titoli di Stato italiani, che perderebbero automaticamente di valore e diventerebbe sempre più difficile collocarli sul mercato.

È vero che il piano di riduzione del debito viene negoziato con il Consiglio e la Commissione europea da ogni Paese singolarmente e gli sforzi richiesti cambierebbero da Stato a Stato mentre fino a ieri erano gli stessi per tutti indipendentemente dalle peculiarità dei singoli, ma i controlli diventano più stringenti e le conseguenze se non si rispettano i piani di rientro peggiorano rispetto al passato, fino al blocco dei trasferimenti dei fondi europei. Inoltre, l’orizzonte temporale del vincolo va oltre le singole legislature per cui finisce per obbligare anche i governi successivi a quello attuale, che oggi si trova a trattare. Un limite per la politica che prima di avanzare proposte di riforma o di cambiamento del Paese, soprattutto in campagna elettorale, dovrebbe prima verificare la compatibilità di queste con il piano europeo. Una limitazione di sovranità a tutti gli effetti.

Il momento per mettere in discussione in Europa ciò che per noi non va è ora. Ma il governo Meloni non sembra intenzionato ad aprire un fronte di crisi con l’Europa anche su questo, oltre che per i migranti. Condannando a una “troika” implicita europea anche i prossimi governi. Non proprio una buona notizia per l’Italia. Ma si sa, lo scambio politiche di bilancio-migranti ha sempre condizionato il nostro Paese, indipendentemente da chi fosse al palazzo Chigi.

*Giornalista

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