Fondazione Marisa Bellisario

MASCHILISMO: NELLE PIAZZE, AL POTERE

Due sono i temi in queste settimane all’ordine del giorno. Da una parte le proteste, violente, contro il Green Pass e la decisione coraggiosa del Governo, unico in Europa, di renderlo obbligatorio nei luoghi di lavoro. Dall’altra, chiusi anche i ballottaggi, il bilancio definitivo delle elezioni amministrative. E il sottile filo rosso che lega due temi apparentemente diversi è l’affermazione di una società machista e maschilista.

Lo sono le manifestazioni che stanno mettendo a ferro e fuoco un Paese profondamente provato e che dovrebbe concentrare le proprie energie per ripartire e non per scendere in piazza contro un esecutivo che ce la sta mettendo tutta per tirarci fuori dalle sabbie mobili della pandemia. Ai più, me compresa, sembra logico che la forzatura di Draghi, l’apparente restrizione della libertà personale è uno, forse l’unico, strumento per restituirci libertà vera, per buttare al macero mascherine e restrizioni con cui conviviamo da oltre un anno. Lo dice il fatto che da quando l’Italia ha annunciato le norme sul Green Pass, il numero di prime dosi nel nostro Paese ha iniziato a crescere di un 7% al giorno in più rispetto alla Germania. Lo dicono i dati dei ricoveri che smentiscono ogni tesi complottista: i vaccini salvano dal Covid. È indubbio che Draghi abbia compiuto una scelta forte ed era altrettanto prevedibile ‒ e democraticamente sacrosanto ‒ che si levassero voci di dissenso. Ma le scene degli scontri e delle violenze cui assistiamo da giorni sono un pugno negli occhi, un brusco risveglio da quel clima di unità nazionale e di coesione sociale e politica unica dote positiva della pandemia. Non so come finirà ma credo che Governo, sindacati e imprese dovranno mostrare il loro lato più conciliante per evitare la saldatura tra lavoratori esasperati e movimenti eversivi.

E se le violenze nelle piazze fanno pensare a una società in cui domina incontrastato il testosterone, non diverso è il paesaggio che ci rimandano le urne orami chiuse. Non che dovessimo aspettare i ballottaggi: su otto città chiave al voto, laddove c’era una donna candidata sindaco, nessuna è arrivata al secondo turno. La conseguenza scontata di un quadro di partenza scoraggiante: su 145 candidati Sindaco nei 17 Comuni capoluogo di Regione a statuto ordinario, le donne erano appena 25 contro 120 uomini (17,2% vs ‘82,8%). Migliore era il quadro nei Consigli comunali dove le candidate erano il 44,9% grazie alla doppia preferenza ma anche lì le elette ‒ spesso candidate di facciata funzionali al mero rispetto formale della norma ‒ sono state molte meno rispetto alle proporzioni di genere delle candidature. Un’occasione persa e un motivo per una seria riflessione in seno ai partiti. Perché nessuna coalizione, a destra e a sinistra, ha candidato una donna a correre come Sindaco. E spiace dire che a imprimere una direzione maschilista nella scelta dei candidati ‒ scoraggiando le donne a correre per le primarie ‒ sia stato proprio il partito i cui proclami sono sempre ultra‒femministi: il Pd. La prevedibile “toppa” saranno ora neo sindaci che si affiancheranno di Vice donne, come fece Letta con le Vice Segretarie. Quasi a ribadire che il posto delle donne è sempre e solo un passo indietro, e sempre grazie a concessioni da parte di uomini contriti dalla deriva maschilista del partito… Mi auguro almeno che non solo tutti i sindaci chiamino una donna come vice ma che costruiscano giunte paritarie: 50% di assessori donne e 50% uomini. Di qualsiasi partito siano espressione.

Al di là dell’ideologia e delle partigianerie, al di là dei conteggi su quale sia stato il partito che ha fatto peggio, la lezione di queste amministrative va oltre. E dice che mentre grandi città europee ‒ per non parlare di Governi e Paesi ‒ sono brillantemente guidate da donne, l’Italia continua a dar prova di autolesionismo. Perché questo è il maschilismo della nostra classe politica: escludere le donne dall’amministrazione del bene comune non danneggia la metà della popolazione ma tutto il Paese, privandolo di competenze e visioni. Se non migliori comunque diverse e quindi auspicabili.

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