Fondazione Marisa Bellisario

COME RENDERE COMPETITIVO IL MERCATO DEI CAPITALI? ANCHE INVESTENDO NELL’ETICA

di Cristina Finocchi Mahne*

Le riflessioni tecniche che hanno accompagnato il dibattito sul sostegno della competitività del nostro mercato dei capitali, conducendo alla formulazione dell’attuale riforma, si sono concentrate soprattutto sulla creazione di un level playing field rispetto ad altre piazze finanziarie basato su comprensibili valutazioni di ‘convenienza’ (snellimento delle procedure, minori costi, mantenimento del controllo da parte degli imprenditori).

Per un pieno successo della riforma, potrebbe però essere utile affiancare a tali riflessioni una considerazione sullo scopo originario del mercato dei capitali e, a tale fine, partire da un confronto tra il fenomeno della great resignation cioè le ‘grandi dimissioni’ e il fenomeno dei delisting (in Italia dal 2002 al 2022 sono oltre 350 le aziende che hanno lasciato la Borsa), che in fondo può essere considerato un’altra sorta di ulteriore ‘grande rinuncia’.

Così come il primo fenomeno verificatosi sul mercato del lavoro spesso è motivato dalla mancanza di un purpose, allo stesso modo potrebbe essere opportuno chiedersi se per trattenere le aziende sul listino italiano, e attrarne di nuove, non ci sia bisogno anche di riscoprire e garantire il vero purpose del mercato dei capitali e cioè il consentire di rimettere in circolo le risorse finanziarie che, altrimenti, resterebbero ferme nel risparmio, trasformandole in nuovi investimenti a sostegno dell’economia reale

Prendendo anche atto che quanto accaduto recentemente sui mercati finanziari non abbia nulla a che vedere con tale purpose, rappresentando, al contrario, una pura speculazione.

Quando sentiamo, infatti, che le recenti attività di negoziazione sui mercati hanno amplificato le turbolenze nel settore bancario mettendo in temporanea difficoltà anche istituzioni sane e  solide, costringendo l’ESMA (European Securities and Markets Authority) cioè la Consob europea, a mettere sotto osservazione il mercato dei credit default swap (derivati sul rischio di credito che offrono la possibilità di coprirsi dall’eventuale insolvenza di un debitore), c’è da chiedersi se non sia soprattutto la mancanza di coerenza e di scopo dei mercati finanziari, a rappresentare un deterrente all’ingresso in Borsa, mettendo in allarme chi pensa di avvicinarvisi e suggerendo, a chi vi si trova già coinvolto, di uscirne.

È possibile dunque che il concetto di competitività da riguadagnare, insieme al tema della convenienza come elemento determinante per lo sviluppo, debba essere sostenuto anche da indirizzi che incentivino comportamenti idonei a garantire il purpose, lo scopo inteso sviluppo responsabile del mercato dei capitali-, o viceversa per limitare quelli che non lo sono.

Ma in che modo ? Con un investimento nell’etica!

C’è bisogno di un cambiamento di prospettiva, con una visione che si concentri sul bene comune, di cui tenere conto anche nelle riflessioni istituzionali, a livello Paese.  Una visione che non implichi la rinuncia al guadagno ma che includa lo sviluppo di una etica del guadagno.

Cominciamo allora dai corsi di educazione finanziaria, previsti nei programmi scolastici, inserendo specifici approfondimenti di etica applicata alla finanza.

Il sistema finanziario è una dei principali asset di ciascuno Stato ed è delle sue infrastrutture più rilevanti. È un settore che attrae talenti, risorse, tecnologie rappresentando un’avanguardia ed un modello.

E un ambito influente e, quindi, al pari del mondo politico, ha una responsabilità in più: in quanto fonte di emulazione deve dare il buon esempio.

Dato la sua importanza, sarebbe dunque opportuno ai fini di una crescita sostenibile che raggiungesse l’obiettivo auspicato di avere l’etica come fonte di profitto e la sua mancanza come perdita dello stesso.

*Docente e Membro Comitato Scientifico Centro Studi Economia Applicata (CSEA) Università Cattolica Milano, Membro Advisory Board europeo Fordham University NY, Membro Comitato Scientifico Fondazione Centesimus Annus

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