Fondazione Marisa Bellisario

ALLARME SHARENTING: COSÌ I FIGLI FINISCONO NELLA RETE

di Monica Mosca*

Avviso ai naviganti: in questo articolo farò ricorso a termini inglesi. Con buona pace del deputato Fabio Rampelli, depositario di una proposta di legge che punisce l’uso di parole straniere nelle comunicazioni ufficiali, con multe tra i 5mila e i 100mila euro, con lo scopo di “difendere e promuovere la lingua italiana e proteggere l’identità nazionale”.

Qui c’è da difendere e proteggere i bambini e non esistono sinonimi in italiano per definire ciò di cui andiamo a trattare: il fenomeno in esplosione dello sharenting, cioè la condivisione costante in Rete da parte dei genitori di contenuti che riguardano i propri figli (fotografie e video). Il neologismo viene dal verbo to share, condividere, e parenting, genitorialità.

La pratica, in Italia come nel resto del mondo, ha raggiunto livelli così preoccupanti da far scendere in campo per una riflessione urgente pediatri, psicologi, garanti per l’infanzia e grandi gruppi del web.

A lanciare l’ultimo allarme è stato il pediatra Pietro Ferrara, responsabile del “Gruppo di studio per i diritti dei bambini della Società italiana di Pediatria”: l’81% dei bambini che vive nei Paesi occidentali è online prima dei 2 anni (negli Usa il 92%). Il 33% è sul web entro poche settimane dalla nascita e il 15% in Europa (il 34% negli Usa) è sui social ancora prima di nascere, attraverso la pubblicazione addirittura delle ecografie.

I genitori europei pubblicano in media 300 immagini l’anno dei propri figli: un numero inquietante. Le foto di più di due terzi dei neonati vengono diffuse entro un’ora dal parto (per l’esattezza, 57,9 minuti dopo). E a postare immagini e video sono per lo più le mamme.

E allora proviamo a partire al contrario: quante madri che conoscete sarebbero disposte a mettere volontariamente in pericolo i propri figli dal giorno in cui nascono e poi sempre, con costanza, finché diventano maggiorenni? Sono sicura: nessuna, è la risposta.

Ecco perché è urgente spiegare che lo sharenting costituisce un reale pericolo per i ragazzini e che, oltre a violare una manciata di Convenzioni e Regolamenti che li tutelano, può segnare in maniera negativa e rischiosa anche il loro futuro. C’è in ballo la protezione dei minori, non solo per quanto concerne i loro diritti e la loro identità digitale: c’è da proteggerli fisicamente da chi è pronto a utilizzare senza scrupoli quelle foto e quei video innocenti.

Che graziosa la bambina che fa il bagnetto, è irresistibile: condividiamo un tenero scatto per amici e parenti che ci seguono su Instagram, o Facebook, o Tik Tok! E il maschietto che gattona? Uno spasso, postiamolo subito! Sono mille, con i bambini, le occasioni per scattare una foto o un video attira-like, probabilmente quante le velleità di vedere crescere il numero dei propri follower. Ci sentiamo un po’ tutti in diritto di essere influencer, se lo fanno i Vip lo faccio anch’io, questa la “molla” principale. Mamme e papà, invece, dovrebbero essere tutti consapevoli delle conseguenze di questa pratica e non sminuirne stoltamente il pericolo.

(Non faccio nemmeno cenno a quei genitori che utilizzano sui social i propri figli come fonte di guadagno, sfruttandone le peculiarità o addirittura le malattie: qui ci limitiamo a trattare di famiglie per bene).

Il fenomeno dello sharenting sta aumentando in maniera esponenziale anche perché le nuove generazioni di genitori sono sempre più digitali e vivono quasi tutto ciò che accade in famiglia onlife: significa che ogni momento, ogni compleanno, ogni vacanza viene postato sui social e non c’è più distinzione fra vita offline, lontano dal web, e vita online, cioè condivisa sul web. Quasi sempre, poi, la foto è corredata dal nome del piccolo, e arricchita da svariati particolari: come si chiama la scuola che frequenta, chi è la sua tata, che giorno va dalla nonna a fare i compiti, dove trascorre il week end…

“Save the children” ha lanciato l’allarme già anni fa e continua a ripeterlo: un tale comportamento da parte dei genitori viola la riservatezza dei dati personali del minore e non tutela la sua immagine. Quando pubblichiamo una foto sui social, da quel momento non è più nostra, la condividiamo e la perdiamo nello stesso momento; anche se la cancelliamo, ormai è proprietà di tutti e resterà per sempre nel web. Le immagini dei nostri figli diventano così accessibili per chiunque e, da materiale innocente, possono essere trasformate in materiale estremamente pericoloso.

Secondo una recente indagine della “eSafety Commission” australiana, il 50% delle immagini pedopornografiche che si trova in Rete viene infatti da social privati, più o meno manipolate con programmi fotografici di facile utilizzo. E tutti quei dettagli con i quali è “condito” lo scatto del bambino possono servire per identificarlo e per adescarlo, anche fisicamente: per i delinquenti sono informazioni ghiottissime.

Capite a questo punto perché condividere allegramente ogni istante di vostro figlio con una platea di sconosciuti merita un serio ripensamento, e anche un bilancio del proprio egocentrismo: qualche like in più vale anche uno solo dei rischi dai quali gli esperti ci mettono in guardia?

Già a novembre 2022, il Garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti ha posto la questione all’attenzione del governo.

In attesa di risposte, se proprio non resistete e avvertite prepotente il desiderio di mettervi in mostra, giocate con le vostre forze, diventate simpatici, autopubblicatevi: ma lasciate in pace i minori.

*Giornalista

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