di Cristina Finocchi Mahne *
La pandemia, e successivamente la guerra, hanno fatto emergere con forza l’importanza di includere nelle valutazioni economico-finanziarie di sviluppo dei Paesi, anche valori determinanti – seppur più difficilmente quantificabili – come la salute, la pace, la tolleranza.
In questo alveo si inserisce l’ampio dibattito in atto da tempo, soprattutto nei Paesi anglosassoni, sulle rivendicazioni delle cosiddette minoranze: dalla diversità di genere, all’orientamento sessuale, dalle origini etniche alle disabilità**.
In particolare, i temi dell’uguaglianza di genere e dell’empowerment femminile, se ci muoviamo da Occidente a Oriente, dunque verso il continente più popoloso e anche con la maggiore crescita della popolazione, da alcuni anni sono al centro del dibattito politico di un Paese divenuto trendsetter a livello globale dal punto di vista culturale, la Korea del Sud. Le tematiche di genere erano già presenti nei dibattiti elettorali delle elezioni parlamentari e locali del 2020 e del 2021 ma, nell’ultima campagna presidenziale – che ha portato il candidato conservatore a essere eletto Presidente nel marzo di quest’anno – la difesa dei diritti delle donne è stata identificata come una negazione di opportunità per gli uomini, una discriminazione al contrario, confermando una discrasia tra percezione e realtà.
Il Paese solo a metà degli anni 2000 ha superato gli orientamenti sociali reazionari che prevedevano una gerarchia di genere nel diritto di famiglia, compresa l’istituzione del capofamiglia e la pratica dell’ereditarietà attraverso la linea maschile (applicata fino al 2005) e il Glass Ceiling Index dell’Economist, pubblicato a marzo 2022, che misura il ruolo e l’influenza delle donne nella forza lavoro nel club dei paesi OCSE economicamente più avanzati, mostra la Korea del Sud ferma ancora una volta sul gradino più basso.
Le donne coreane si sono trovate, anche recentemente, a manifestare contro una misoginia diffusa e a combattere le telecamere spia – partecipando al movimento I am not your porn (molka) –, i penalizzanti canoni di bellezza consolidati -attraverso il #corsetfreemovement-, e la violenza nei matrimoni multiculturali.
Invece lo specchio della percezione internazionale di questo Paese rimanda una immagine diversa. La Korea viene vista come uno Stato avanzato in quanto tecnologicamente evoluto e foriero di una cultura ‘di consumo’ apprezzata in buona parte del mondo. E, in questa rappresentazione, l’influenza del soft power della cosiddetta K-wave o Hallyu, onda Koreana, cioè il diffondersi della popolarità a livello globale della sua cultura pop, del suo intrattenimento, della sua musica, delle sue serie TV e dei suoi film***, ha giocato un ruolo determinante.
Ne sono una conferma, il successo planetario di Squid Game, diventata in breve tempo la produzione più vista di Netflix, soprattutto dalle nuove generazioni; la partecipazione della boy band sudcoreana BTS alla 76° Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi lo scorso settembre; il successo di Bong Joon-ho di Parasite nel 2020, il primo film non in lingua inglese della storia a vincere l’Oscar come migliore pellicola; fino ad arrivare all’introduzione da parte dell’Università di Oxford di ventisei nuove parole coreane nel suo dizionario. A tutto ciò, si può sommare il fatto che, in un recente evento tenutosi presso un noto ateneo milanese, il CEO di una società di gestione patrimoniale, di rilievo internazionale, abbia indicato la Korea come il Paese da osservare in quanto generatore di orientamenti futuri a potenziale alto impatto finanziario.
L’auspicio è dunque che le future valutazioni geopolitiche traggano le dovute conclusioni sul livello di sviluppo dei diversi Paesi, includendo sempre più, e con convinzione – oltre a variabili come il peso economico, le relazioni diplomatiche, l’evoluzione tecnologica e i modelli cultural – i loro valori interni.
*Economista, Membro Cda e Presidente comitati endoconsiliari di società quotate, Docente Università Cattolica del Sacro Cuore
**Tale ambito è stato identificato con la parola woke che letteralmente significa sveglio, attento, consapevole – ma indica l’atteggiamento di chi presta attenzione alle ingiustizie sociali, legate principalmente a questioni di genere e di etnia, solidarizzando ed eventualmente impegnandosi per aiutare chi le subisce.
***OCSE ottobre 2021
https://www.oecd.org/country/korea/thematic-focus/cultural-and-creative-sectors-1573f603/
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