di Monica Mosca*
Ci sono amori imponderabili, sconosciuti, fulminanti che ti sferzano il cuore all’improvviso e ci si annidano dentro. Amori che non ti aspetti, ma che non dimenticherai più.
Non sono gli amori per mariti, fidanzati, genitori, nemmeno quelli per i figli. Sono amori speciali, com-passioni: e ti trovi a provare all’unisono lo stesso dolore con qualcuno che sta lontanissimo, come se un diapason dall’altra parte del mondo iniziasse a suonare e le sue vibrazioni attraversassero il mare e i confini per posarsi in casa tua, mentre distratta addobbi l’albero di Natale.
Se ti metti in ascolto, li senti subito: questi amori arrivano a frotte, si fanno largo nel cuore con prepotenza, ti stupirai di quanti ce ne stiano. Sono le voci, e le storie, e le lacrime di chi l’amore non lo ha.
Quest’anno io mi sono innamorata tante volte, quasi troppe. Perché ogni volta che è successo ho sofferto e mi sono interrogata: so che le mie parole appassionate non basteranno certo a lenire tante brutture, ma riusciranno almeno a farsi sentire? Vorrei che fossero ascoltate, questo è il senso della mia lettera di Natale, dedicata a chi è disposto a captare la sofferenza diffusa da quel diapason lontano.
Per lavoro io scrivo, leggo, studio le immagini. Ed è così che mi sono innamorata di Yasmine, scricciolo di 11 anni, aggrappata per tre giorni a un pezzo di pneumatico in mezzo al mare, unica sopravvissuta a un naufragio in cui hanno perso la vita 44 profughi. Veniva dalla Sierra Leone con la sua famiglia, padre, madre e fratello, tutti annegati di fianco a lei. I soccorritori hanno udito le sue grida, più forti del vento e dei motori accesi, e l’hanno recuperata al largo di Lampedusa. Era gelata, sotto choc, stremata. Ho provato a immaginare cosa Yasmine abbia pensato in mezzo a quel mare, tra le onde, al buio, il panico di morire, l’orrore degli altri corpi inghiottiti uno a uno. Non ci sono riuscita, sono stata sopraffatta dall’angoscia. Quella bambina ora alberga nel mio cuore, asciugata e riscaldata, e non mi interessa se la sua famiglia avesse titolo o meno per ottenere asilo nel nostro Paese, mi importa solo che lei sia viva.
Mi sono innamorata quest’anno anche di una maestra che insegna a Khuza’a, nella Striscia di Gaza, in mezzo alle macerie. L’ho vista al telegiornale. Aveva in testa una sciarpa bianca che pareva morbida e fresca di bucato e ai piedi scarponi neri militari molto grandi, forse da uomo. Eppure era leggera come una libellula quando si muoveva. Sì, perché la maestrina di Khuza’a ballava lieve e i suoi alunni cantavano. Insegnava quello, a sopravvivere, era la sua lezione bellissima. In quella classe non ci sono banchi, né quaderni, a dirla tutta non c’è neanche la classe e nemmeno la scuola: si sta vicini sotto un pezzo di tetto pencolante mancato dai missili. Il diapason della com-passione mi ha portato quella musica e nel mio cuore ora ci sono le risate e il coro di quei bambini finora risparmiati dalla guerra.
Ancora, mi sono innamorata di due ragazze fotografate in un portone a Damasco, qualche giorno dopo la fuga del dittatore Bashar al-Assad. Mi hanno commosso per un gesto che solo nella disperazione più assoluta acquista un significato potente: si pettinavano a vicenda, pronte a scendere per le strade a festeggiare. Senza velo, i capelli neri e lucenti al vento, sciolti, liberi. Libere anche loro, per il momento. Chissà cosa diventerà la Siria, chissà se il nuovo leader al-Jawlani manterrà qualche promessa e non giustizierà tutti gli oppositori del regime, come ha fatto invece il presidente deposto: nell’ultima fossa comune ritrovata nella località di al-Qutayfah c’erano 100 mila corpi torturati, di peggio è difficile immaginare.
La com-passione per le due ragazze siriane è un amore che comprende tutte le donne senza pace né diritti, quelle sottomesse, calpestate; è lo stesso amore che provo per le donne violate e per tutte quelle uccise per mano di chi, nominando l’amore invano, le ha tradite mortalmente.
C’è quasi folla nel mio cuore, ma so che nuovi innamoramenti arriveranno presto e ci staranno tutti.
Il mio augurio e la mia speranza è che noi, che nella professione siamo arrivate lontano, ogni due passi avanti ne compiamo anche uno indietro, per avvicinarci a questi amori che chiedono spazio e voce.
Mettiamoci in ascolto, sarà un buon Natale.
*Giornalista
Questa lettera è bellissima mi sono emozionata
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