di Giulia Catricalà*
L’utilizzo dei social durante la pandemia ha reso più suggestiva e pregnante quella particolare “bilocazione” della nostra persona, permettendoci di esistere sia online che offline, che si tratti di noi o della nostra figura smaterializzata e ricostruita in modi inediti. Numerosi studi hanno confermato che durante il lockdown gli utenti hanno utilizzato i social come canali informativi, ma anche come strumenti per consolidare comunità basate sulla somiglianza emotiva, fisica e culturale.
Dal Covid in poi abbiamo assistito ai cosiddetti “cambi di algoritmo” della piattaforma Instagram, che è passata dal proporre immagini o riproduzioni di contenuti scritti, a lanciare insistentemente lo strumento del reel (il tanto discusso video breve), che più è considerato unico e autentico, più riscuote successo.
E il focus del problema sta proprio nel concetto di autenticità, che paradossalmente produce una catena virtuale di tentativi di omologazione.
I video brevi raffiguranti immagini di donne bellissime, ad esempio, diventano virali in pochi istanti, catturando l’attenzione e innescando un meccanismo di confronto fra l’utente e quello che viene proposto sulla sua home. L’utente a sua volta rilancerà con un tentativo conforme al contenuto con cui ha appena interagito, investendo energie, tempo e aspettative.
Ed è qui che i confini fra autenticità e omologazione si fanno sempre più indistinti e volatili.
Nei canali social, infatti, gli ideali di bellezza vengono costantemente distrutti e ricostruiti, come viene decostruita ogni volta la percezione dell’utente della propria identità.
Per capire a fondo questa dinamica bisogna fare un piccolo passo indietro.
Numerosi studi condotti dagli anni 2000 in poi hanno dimostrato che le preoccupazioni legate al corpo sono influenzate da fattori socioculturali, di cui i mass media sono quelli di maggiore impatto.
Le forme corporee trasmesse da tv e giornali hanno sempre compreso ideali di corpi magri e tonici, esaltando in modi differenti la magrezza e la perdita di peso.
Si è anche consolidata una cultura sia maschile che femminile che celebra la perdita di peso come riscatto personale ed esistenziale, una cultura che esalta il sacrificio, la limitazione e il raggiungimento di modelli inautentici a ogni costo.
Questa dinamica è innescata dall’insoddisfazione corporea e dal disagio circa il proprio aspetto, che comprendono l’interiorizzazione degli ideali e il confronto sociale basato sull’apparenza. L’interattività dei social media (caratteristica di cui riviste e tv erano privi) ha esacerbato questa relazione, dato che gli utenti sono contemporaneamente fonti e destinatari dei contenuti ig.
Si è aggiunto così il tassello fondamentale di un quadro già allarmante di suo, la dinamica della creazione di un proprio profilo conforme a quello più influente (gli influencer) che richiede una partecipazione emotiva e una continua messa in discussione del sé.
Tanto che è stata elaborata una teoria dell’oggettivazione (cioè l’interiorizzazione dell’osservatore) specifica per i social. Ad aggravare e rendere più complesso il fil rouge di questa relazione è stato lo strumento ampiamente utilizzato, per non dire abusato, del filtro di bellezza e la recente espansione dell’intelligenza artificiale. Le foto delle modelle, già belle per natura, vengono continuamente editate secondo i modelli vigenti e le “dirette” stesse sono filtrate da appositi programmi di video-ritocco, fino a produrre contenuti irrealistici e virali. Questo ha avuto un ruolo determinate nello sviluppo dei disturbi alimentari nelle donne più giovani.
Proprio i disturbi alimentari, dalla pandemia ad oggi, hanno raggiunto un picco mai visto prima.
La stessa esposizione a contenuti di “fitspiration” (ispirazione fitness) è stata associata a una maggiore gravità dei sintomi dell’anoressia e della bulimia. Dalle numerose ricerche condotte in merito emerge che l’investimento psicologico dei giovani sui social è troppo alto e stridente con la realtà, tanto da essere causa di pensieri suicidi.
Le istituzioni e in particolar modo le scuole dovrebbero prendere provvedimenti seri per staccare i cellulari dalle mani dei più giovani, e soprattutto le adolescenti dovrebbero essere educate ad un uso consapevole e realistico dei social per proteggere la loro psiche e il loro futuro.
*Giornalista