di Marta Cerioni*
Nel 2020 è stato varato il piano dell’Unione europea che si fonda su “un’Unione dell’uguaglianza” e che ha programmato azioni positive per promuovere la strategia per la parità di genere 2020-2025: tassello essenziale per raggiungere l’eguaglianza sostanziale di cui tratta l’art. 3, 2 comma, Cost.
Qualche settimana fa è stato pubblicato il Rapporto sull’uguaglianza di genere nell’Unione Europea. Leggendolo attentamente, la strategia per l’uguaglianza di genere si concentra (correttamente) su alcune questioni fondamentali e più urgenti come: porre fine alla violenza di genere e sfidare gli stereotipi; prosperare in un’economia paritaria; guidare in modo equo in tutti i settori della società; finanziamenti; promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile in tutto il mondo.
Peraltro, il rapporto sottolinea positivamente alcuni risultati raggiunti nel 2024 come l’approvazione della prima direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica e ben due Direttive per rafforzare il ruolo degli organismi per la parità (arrivando dopo oltre dieci anni rispetto alla best practice della legge italiana Golfo-Mosca del 2011).
Tuttavia, ancora oggi l’indice sull’uguaglianza di genere 2024 ha attributo all’UE un punteggio di 71 su 100, un miglioramento di 7,9 punti dal 2010. Mantenendo il ritmo costante, ci vorrebbero ancora circa 60 anni per raggiungere la piena uguaglianza di genere.
Secondo la “tabella di marcia per i diritti delle donne”, adottata dalla Commissione europea, occorre del lavoro aggiuntivo per rinforzare la “strategia per l’uguaglianza di genere post-2025”.
Il dato che caratterizza la più recente strategia è rappresentato dal doppio canale di intervento: il primo, classico, di insistere su settori mirati (come la parità retributiva, la violenza di genere etc.) e il secondo di inserire la dimensione di genere in tutte le politiche, rendendolo un principio trasversale, come era accaduto per la tutela dei consumatori. Il doppio approccio – trasversale ed intersettoriale – è sicuramente efficace.
Per continuare l’evoluzione positiva italiana del diritto antidiscriminatorio, potrebbe essere opportuno inserire una “valutazione dell’impatto di genere” in tutti i settori pubblici e privati, rendendola talvolta “obbligatoria”, talaltra “premiale”, idonea a produrre effetti economici positivi o sgravi fiscali.
Già molti settori si sono avviati a queste considerazioni sulla scia dell’adozione dei parametri ESG (penso all’Ente italiano di normazione che si è attivato per fornire delle linee guida e degli indicatori prestazionali) ma credo che possa essere materia interessante per una nuova stagione legislativa che renda prescrittiva la Valutazione di Impatto di Genere (VIG) di progetti di investimento e di misure legislative o amministrative.
La valutazione di impatto di genere potrebbe essere eseguita sia prima che le misure e i programmi previsti vengano approvati sia dopo la loro realizzazione per un attento monitoraggio, rendendola, però, una misura indefettibile per ogni settore. Solo così, la parità di genere potrà essere integrata davvero in ogni misura o programma legislativo e potrebbe portare frutti che non siano esclusivamente settoriali e mirati.
Sulla scorta dell’insegnamento di Luigi Einaudi: “conoscere per deliberare”, è diventato fondamentale diffondere, potenziare e prescrivere la “cultura della valutazione” anche dentro il ciclo istituzionale. Perché per contare, bisogna prima essere “viste” e la luce deve accenderla sempre il legislatore.
*Professoressa associata di Diritto costituzionale e pubblico presso l’Università Politecnica delle Marche; Direttrice Osservatorio sulla Legalità Economica e i Diritti fondamentali del DIMA-UNIVPM, Avvocata cassazionista